Nasce nel 2019, ma ora è di nuovo sulla bocca di tutti: cos’è la protesta dei trattori? Un viaggio attraverso le contraddizioni del mondo agroalimentare.
Nel cuore delle campagne europee, i trattori non solcano solo i campi, ma par che sollevino anche grida di protesta. Dietro le quinte di questo tumulto agricolo c’è un conflitto bruciante tra i piccoli-medi produttori e grande distribuzione, che tocca anche le politiche europee. Le forze vitali dietro le quinte del nostro settore agricolo si scontrano con la titanica presenza della grande distribuzione industriale.
In diversi Paesi europei, inclusa Francia, Germania, Romania, Belgio, Polonia e recentemente anche l’Italia, gli agricoltori hanno intrapreso proteste. La caratteristiche su subito salta all’occhio p che usano i loro trattori per bloccare le strade e mettere al centro le proprie preoccupazioni. Queste proteste sono state innescate da una serie di questioni, tra cui l’aumento del costo dei prodotti e le misure che cercano di rendere il settore agroalimentare più competitivo ma anche sostenibile, come la sospensione delle attività per permettere al terreno di riposare.
La protesta dei trattori: l’inizio
La “protesta dei trattori” è un fenomeno che vede agricoltori e operatori del settore agricolo organizzare manifestazioni in cui i trattori sono mezzo di protesta per attirare l’attenzione sulle questioni che li riguardano. Si tratta di “alzare la voce” contro politiche agricole governative, condizioni di mercato sfavorevoli, e (marginalmente) questioni ambientali o questioni sociali. Per quest’ultimo punto diciamo che, in modi diversi da come possiamo aspettarci, anche gli agricoltori sono svantaggiati.
Un esempio significativo di proteste dei trattori è avvenuto nel 2019. In quell’anno gli agricoltori europei, in particolare quelli provenienti da paesi come Francia, Germania e Paesi Bassi, hanno organizzato manifestazioni. Anche qui il classico: hanno bloccato le strade principali con i loro trattori. La prima istanza fu protestare contro le politiche agricole dell’Unione Europea (UE). Gli agricoltori chiedevano principalmente migliori condizioni economiche, un maggiore sostegno finanziario e una maggiore protezione del settore agricolo europeo. Vediamo come siamo arrivati fin qui.
La protesta dei trattori oggi:
In Francia, gli agricoltori hanno bloccato tratti di autostrade verso Parigi per protestare contro il basso compenso, l’eccessiva regolamentazione ambientale e altre preoccupazioni legate alla concorrenza delle importazioni e alle norme ambientali. In Germania, le proteste sono state scatenate dalla graduale eliminazione delle agevolazioni fiscali sul gasolio agricolo, che i coltivatori temono possa portarli alla bancarotta.
Anche in Italia, le proteste si stanno intensificando, con centinaia di agricoltori che si sono radunati a Melegnano, Lombardia, per chiedere una maggiore protezione del “Made in Italy” e opporsi all’aumento del prezzo del gasolio. Questo aumento delle proteste non è solo un fenomeno italiano ma si è verificato anche in altri Paesi europei come Paesi Bassi, Belgio, Romania, Polonia e Ungheria, con gli agricoltori preoccupati per l’impatto delle importazioni a basso costo dall’Ucraina.
Il ruolo dell’UE nella proteste:
Le politiche dell’Unione Europea (UE) sono spesso al centro del malcontento degli agricoltori, soprattutto per quanto riguarda misure per rendere la Politica Agricola Comune (PAC) più sostenibile. Tuttavia alcuni ritengono renderà il settore agricolo europeo meno competitivo rispetto alle importazioni.
Un altro fattore che ha contribuito alle proteste è l’importazione di prodotti agricoli a prezzi più bassi dall’Ucraina, soprattutto cereali. Qui alcuni agricoltori ritengono stia danneggiando il mercato interno. Essi denunciano che produrre certi prodotti in Ucraina costa meno rispetto a molti Paesi europei. Non è un mistero che questo potrebbe creare una certa iniquità nel mercato agricolo.
L’attuale sistema agricolo e alimentare è controverso e difficile su molteplici fronti. Da una parte vediamo i piccoli agricoltori, spesso dipendenti da una struttura economica e sociale che li relega alla posizione di piccoli proprietari immersi in un sistema di “too big to fail“. Sono stati oggetto di analisi e critica da parte di vari pensatori, tra cui chiaramente Marx. Questi piccoli proprietari, lungi dall’incarnare una visione romantica dell’agricoltura tradizionale, possono essere in realtà portatori di ideologie reazionarie. Parliamo di idee tutt’altro che ambientaliste, spesso legate alla difesa dei propri interessi individuali piuttosto che a una visione collettiva e solidale del settore agricolo. Questo chiaramente non nega la condizione difficile in cui possono trovarsi in questo momento storico né le criticità delle grandi aziende agroalimentari che stanno dall’altra parte.
La terra non è più equa:
La grande produzione agricola, guidata dal capitalismo imperante, spesso si maschera dietro l’etichetta “green”. Molte aziende fanno chiaramente leva sull’immagine di sostenibilità e rispetto dell’ambiente, ma di queste istanze hanno solo l’immagine del packaging. Questa facciata può celare una realtà ben diversa. Ce ne parla Rachel Carson nel suo libro “Silent Spring“: con esempi eloquenti come quello degli avocado. L’avocado è sempre stato promosso come cibo “green”. Tuttavia il suo impatto ambientale, soprattutto in termini di consumo di acqua e deforestazione, è stato oggetto di crescente critica.
L’impatto ambientale dell’avocado è dovuto principalmente a causa della sua produzione intensiva. Essa richiede elevate quantità di acqua e spesso comporta la deforestazione. In alcune regioni, come il Messico e l’America Centrale, la coltivazione dell’avocado ha portato alla distruzione di habitat naturali importanti. Ciò ha contribuito alla perdita di biodiversità e all’erosione del suolo. Inoltre, la crescente domanda di avocado ha spinto i produttori a utilizzare pratiche agricole intensive . Esse hanno impatti negativi sull’ambiente, come l’uso eccessivo di pesticidi e fertilizzanti, che possono contaminare le risorse idriche e danneggiare gli ecosistemi circostanti.
Questo doppio scenario ci invita a una riflessione critica sulle dinamiche del settore agricolo e sulle politiche che lo guidano, come spesso invece critica Vandava Shiva (es. “Biopiracy: The Plunder of Nature and Knowledge”). È fondamentale interrogarsi sulle radici delle disuguaglianze e delle ingiustizie che caratterizzano questo sistema, così come sulla necessità di adottare approcci più equi e sostenibili che tengano conto delle esigenze di tutti gli attori coinvolti.
La biopirateria e la sovranità alimentare:
Vandana Shiva scrive un’opera che esplora le pratiche di biopirateria. Si concentra sul loro impatto sulle risorse naturali e sulle conoscenze tradizionali delle comunità indigene e locali. Shiva denuncia il fenomeno, che consiste nel saccheggio e nell’appropriazione non autorizzata di risorse biologiche e conoscenze tradizionali da parte di entità commerciali e governi occidentali, spesso a scapito delle comunità che possiedono e custodiscono tali risorse e conoscenze da generazioni. Ci sono due temi che ci ricollegano alla protesta dei trattori:
Entrambe le questioni sollevano il tema della sovranità alimentare rispetto all’autonomia delle comunità locali nel controllo e nell’uso delle risorse naturali. La biopirateria minaccia la sovranità alimentare delle comunità indigene e locali. Le priva del diritto di sfruttare le proprie risorse biologiche e conoscenze tradizionali senza restrizioni esterne. La protesta dei trattori evidenzia (come la sovranità alimentare) la lotta contro le politiche agricole e commerciali che favoriscono le grandi aziende a discapito dei piccoli e medi produttori agricoli.
Inoltre entrambi i fenomeni sollevano preoccupazioni riguardo agli impatti ambientali delle pratiche agricole industriali e commerciali. La biopirateria può portare alla distruzione dell’ambiente naturale e alla perdita di biodiversità attraverso l’uso intensivo delle risorse naturali e l’appropriazione non autorizzata di risorse genetiche.
“too big to fail” ma l’ambiente invece fallisce:
Nel libro, Shiva illustra numerosi casi, dai brevetti sulle piante medicinali tradizionali alle tecniche di ingegneria genetica applicate alle colture alimentari, mettendo in evidenza come queste pratiche minaccino la biodiversità, l’autonomia alimentare e il benessere delle comunità locali. Un esempio riguarda la multinazionale farmaceutica statunitense RiceTec, che ha ottenuto brevetti per il riso basmati e il riso jasmine, varietà tradizionalmente coltivate in India e in altri paesi asiatici. Questi brevetti hanno permesso a RiceTec di controllare la produzione e la commercializzazione di queste varietà di riso, minacciando l’autonomia dei contadini e delle comunità locali che le coltivano da secoli.
Un altro esempio è quello della società agrochimica e biotecnologica Monsanto (ora parte di Bayer) che ha ottenuto brevetti su colture geneticamente modificate e ha promosso l’uso di semi brevettati a scapito dei semi tradizionali coltivati da agricoltori locali. Questa pratica ha portato a una dipendenza crescente da parte degli agricoltori da sementi brevettate e da prodotti chimici, minando l’autosufficienza alimentare e l’agricoltura sostenibile nelle comunità rurali.
“The Omnivore’s Dilemma: A Natural History of Four Meals” è un libro scritto da Michael Pollan, pubblicato nel 2006. In questo libro, Pollan esplora le complesse dinamiche che circondano il cibo che mangiamo,. Analizza le scelte alimentari che le persone fanno e le implicazioni di queste scelte sulla salute individuale e sull’ambiente. Uno dei concetti principali del libro è il “dilemma dell’onnivoro”,. Sarebbe la difficoltà che gli esseri umani affrontano nel scegliere cosa mangiare in un mondo in cui sono disponibili molte opzioni alimentari, ma spesso non siamo consapevoli delle implicazioni dietro queste scelte.
Il dilemma dell’onnivoro: scegliamo davvero cosa mangiare?
Anzitutto, le grandi aziende agroalimentari esercitano un’enorme influenza sulla produzione alimentare,. Quindi impongono agli agricoltori tempi e prezzi di produzione che spesso sono dettati più dalle esigenze del mercato che dalle reali necessità della terra. Questo significa che gli agricoltori possono essere costretti a seguire pratiche agricole non sostenibili o a produrre determinati tipi di colture o alimenti per rispondere alla domanda del mercato, anche se ciò non è necessariamente nel migliore interesse della salute umana o dell’ambiente. Quanto siano consapevoli delle questioni ambientali, rispetto alle personali difficoltà, è un’altra storia.
Allo stesso tempo, le grandi aziende agroalimentari hanno una vasta presenza nei supermercati e nei negozi di alimentari, dove controllano gran parte dello spazio sugli scaffali. Utilizzando strategie di marketing e pubblicità, queste aziende promuovono i loro prodotti in modo da influenzare le scelte dei consumatori. Non è un segreto. Spesso, i consumatori sono esposti a una vasta gamma di prodotti. Tuttavia sono spinti più dall’esposizione visiva e dalla pubblicità che da una vera e propria volontà consapevole di scegliere ciò che comprare. In generale, probabilmente anche se siamo all’interno di un enorme supermercato, abbiamo nel nostro carrello molta meno scelta di quanto pensiamo.
In conclusione, “The Omnivore’s Dilemma” evidenzia come i consumatori siano spesso intrappolati in un ciclo di consumo guidato dalle strategie di marketing su larga scala, che influenzano sia la produzione che il consumo alimentare. Questo rende difficile per i consumatori sfuggire al gioco delle grandi aziende e fare scelte pienamente consapevoli e informate.
Cosa fare della protesta dei trattori?
Ci sono fondamentalmente due fronti. Da una parte ci sono i produttori agricoli, che svolgono un ruolo fondamentale nella produzione alimentare. Affrontano sfide quotidiane lavorando per portare i loro prodotti sulle nostre tavole. Tuttavia, ad ora sono costantemente sfidati dalla pressione della grande distribuzione industriale, che impone i suoi ritmi e le sue regole senza considerare le esigenze e le difficoltà non solo dei produttori locali, ma anche della terra.
Dall’altra parte c’è la grande distribuzione industriale. Parliamo letteralmente di un gigante nel settore della vendita al dettaglio che opera su larga scala. Detta legge sui prezzi e i tempi di distribuzione, spesso a scapito dei piccoli e medi produttori agricoli. Questi produttori si trovano in una posizione svantaggiata, incapaci di competere con le richieste irrealistiche e le scadenze impossibili imposte dalla grande distribuzione. Questo è certamente uno dei punti nevralgici che crea il malcontento dei trattori.
Il problema centrale è la mancanza di sostegno adeguato per i piccoli e medi produttori agricoli? Sono ancora una risorsa sostenibile in questo sempre più allargato Capitalismo? Gli agricoltori sono sempre stati una classe sociale molto reazionaria, ma la loro messa all’angolo dal greenwashing dei “too big to fail” comporta gravi conseguenze non solo di iniquità sociale e di ipocrisia politica, ma anche e soprattutto ambientali. Mentre le grandi aziende si concentrano sui profitti finali, i produttori agricoli lottano per sopravvivere in un ambiente competitivo e spesso ostile che sembra essere alle soglie di un nuovo mondo che li vede esclusi.
Maria Paola Pizzonia, Autore presso Metropolitan Magazine