Quando Anna Magnani sceglieva il cinema “tra una lacrima di troppo e una carezza di meno”

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Di Rossella Papa

“Ho capito che ero nata attrice. Avevo solo deciso di diventarlo nella culla, tra una lacrima di troppo e una carezza di meno. Per tutta la vita ho urlato con tutta me stessa per questa lacrima, ho implorato questa carezza”.

Anna Magnani, caparbia, tragicomica e vera: la faccia del cinema italiano degli anni ’60.

C’era una luce in fondo al buio dei suoi occhi cupi, era una sfida alla malinconia; era la struggente ironia della Magnani, nella quale collezionava i segni di un’epoca di cui colse il tenero sarcasmo. Meno ciocaria di quel che si crede, neppure popolana isterica: Anna Magnani era l’irriverenza di un uomo nella carezza disperata di una madre. 

Una delle maggiori attrici simbolo del cinema italiano, il ritratto della romanità del XX secolo: Anna Magnani lasciava il segno, come quelle rughe degli ultimi anni a cui era tanto affezionata perchè  “le ho pagate tutte care”.

Uno sguardo austero, quasi credule, che rifletteva un turbamento remoto; forse la storia della sua nascita- smarrita e incisiva- o l’ombra delle delusioni che -molte- hanno circoscritto il suo distacco elegante dalla gente.

Nata a Roma, da madre romagnola, la Magnani fu presto abbandonata dal padre calabrese. Il suo cognome è quello materno, infatti. Ed è forse a quell’assenza fantasma- più che abbandono- che l’attrice romana deve la sua stizzita mascolinità, la ricerca continua di contrasto, di impudenza sarcastica e rude.

Forse l’esorcizzazione di un dramma che, in futuro, avrebbe rivissuto in maniera speculare: anche il padre di suo figlio la lasciò; il figlio, da piccolo ammalato di poliomelite, fu curato in Svizzera e divenne- nel tempo- la sua vera ragione di vita.

“Le donne come me subiscono solo gli uomini capaci di dominarle”

E che fosse l’amore sconfinato per il figlio il riscatto per l’assenza dei suoi uomini più importanti, è una probabile risoluzione. Ma è nella sua nobile indipendenza e in quell’affollata solitudine che è nato il talento d’una figura dominante di tutto il cinema italiano.

Il cinismo e il disprezzo con cui la Magnani guardava il mondo era lo stesso con cui, allo stesso modo, tentava di rappresentarlo. Il risultato era una spontaneità bonaria: gli occhi da zingara e un paio di parolacce in bocca. Ma a quelle parolacce non corrispondeva mai la volgarità. Era la semplicità di chi rappresentava la realtà con nient’altro che la verità.

Ma che poi, in mezzo a tutta questa drammacità, l’abbiamo sempre vista ridere a bocca aperta, perchè vivere come Anna Magnani “me piace tanto“.

In quel corpo gracile dai gesti bruschi, nella tenerezza pungente, c’era tutta la contraddizione di un’epoca.

Quel caratteraccio di cui era accusata era solo personalità, e che fosse altalenante e istintiva era solo veridicità. Ma se alla Magnani toglessimo la faccia incazzata, l’amore cinico, la paura della morte: ritroveremmo solo una grandissima attrice romana.

La Magnani è di più, è Nannarella e Mamma Roma, la Magnani è la voglia di campagna, è la convinzione che sia un peccato morire “dato che siamo nati“, ma anche la risata sul mondo e su di sè, forse un’irrisione pasoliniana, è un cratere sul pianeta Venere.

Era pur sempre il fascino che intimoriva anche Alberto Soldi, che innamorava e straziava Rossellini,  lo stesso che le valse il primo Oscar ad un’attrice italiana. Questo funzionava quando bellezza era verità, nei suoi spigoli di collera e nostalgia, nella sensualità da zingara, l’indomabile tempesta.

C’era una stanchezza dolcissima negli occhi della Magnani, e in fondo a quei pozzi un’altrettanta meraviglia di vivere.

Saturno contro, mia cara Magnani; tra tutte le stelle era una luna storta, sì, ma pur sempre la Luna.

 

Rossella Papa