
“Ci trattavano come delle stelle del cinema, ma eravamo più potenti, noi avevamo tutto. Le nostre mogli, le madri, i figli campavano bene con noi. Io avevo dei sacchetti pieni di gioielli nella credenza di cucina, avevo una zuccheriera piena di cocaina sul comodino accanto al letto”. Il consueto e solito mestiere di Martin Scorsese: raccontare il fenomeno della mafia newyorchese anni ’50, e un italoamericano che fa carriera nella vita da gangster. A cui la vita riserva delle sorprese non previste. “Scommettevo 30 mila dollari ai cavalli di domenica e sperperavo le vincite la settimana dopo, oppure ricorrevo agli strozzini per pagare gli allibratori. adesso è tutto finito. È questa la parte più dura, oggi è tutto diverso. Non ci si diverte più, io devo fare la fila come tutti gli altri e si mangia anche di schifo. Appena arrivato ordinai un piatto di spaghetti alla marinara e mi portarono le fettuccine col Ketchup. Sono diventato una normale nullità.” Stasera in tv si cena con “Quei bravi ragazzi“. Offrono loro.
L’avventura in ascesa e discesa del criminale, poi pentito, Henry Hill (Ray Liotta), tra omicidi di rito e l’immancabile incontro con la droga: il grande Robert De Niro (il famigerato Jimmy Conway), con il suo volto da bandito serio che dà credibilità al film sminuendo la finzione, lo accompagnerà nel mondo dei gangster. E Joe Pesci (Tommy De Vito), nella parte ispirata al mafioso Thomas De Simone, si aggiudicò l’Oscar come miglior attore non protagonista. I quartieri malfamati di Brooklyn (New York), vedono crescere tra minoranze etniche e poche virtù, i pericolosi uomini. Anche da adulti, saranno ancora insieme, tre vecchi amici, che fra loro si chiamano confidenzialmente “bravi ragazzi”.
Bravi ragazzi a scuola dal Padrino
Tratto dal romanzo “Il delitto paga bene” di Nicholas Pileggi, diventa un film nel 1990, “Goodfellas“, con la mano di Scorsese. Il regista siculo-americano, ne fa un capolavoro, che è stato a più riprese definito uno dei migliori film della storia del cinema. Che si aggiudica anche il contrassegno che pesa, ‘tratto da una storia vera’. “Quei bravi ragazzi“, stasera in tv si prova a fare i duri: “Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster. Per me fare il gangster è sempre stato meglio che fare il presidente degli Stati Uniti. Quando cominciai a bazzicare alla stazione dei taxi e a fare dei lavoretti dopo la scuola ho sentito che volevo essere dei loro”.
“Loro” non erano mica come tutti gli altri, “loro” facevano quello che volevano, e nessuno chiamava mai la polizia. I ragazzi arrivavano in Cadillac e me le lasciavano parcheggiare. Giorno per giorno imparavo come si campava a sbafo, un dollaro qua un dollaro là. Vivevo come in un sogno”. Si parla di attività criminale come una normale carriera professionale. Ma la bravura del regista è far sognare in mezzo al fango, all’ombra della mala, tra sangue e regolamento di conti. La macchina da presa si muove in piano sequenza, fermo immagine sui volti (non ce n’è uno sgradito), e dà spettacolo. Nella scena filmata al ristorante, la voce fuori campo e “Il cielo in una stanza” come sottofondo.
Gangster doppio petto, ma in cucina
“In prigione la cena era una grande occasione. C’era sempre un primo di pasta e un secondo di carne o pesce. Paulie stava scontando un anno per oltraggio alla corte e aveva una mano favolosa per tagliare l’aglio. Usava una lametta e lo affettava così sottile che si scioglieva nella padella con pochissimo olio. È un ottimo sistema. Vinnie era incaricato della salsa di pomodoro, secondo me ci metteva un po’ troppa cipolla ma era sempre un’ottima salsa. Johnny Dio faceva la carne, non avevamo la graticola e Johnny faceva tutto in padella. Affumicava tutta la prigione e i secondini tremavano un po’, ma faceva delle bistecche favolose. Quando si pensa alla prigione vengono in mente quei vecchi film dove si vedeva tutta quella gente che si agitava dietro le sbarre, ma non era così per noi bravi ragazzi. Non si stava poi tanto male, salvo che mi mancava Jimmy, lui scontava la sua pena ad Atlanta. Cioè, tutti gli altri scontavano una pena vera, tutti ammucchiati insieme vivendo come porci, ma noi vivevamo soli ed eravamo padroni della prigione. Anche i secondini, che non riuscivamo a corrompere, non avrebbero mai fatto la spia”. Connubbio perfetto tra pasta al sugo e crudezza delle immagini.
Mordente, e sagace: i protagonisti, nonostante un corpo nascosto nel bagagliaio, sono costretti a cenare con la madre di Tommy. Sembrano tutti amici, ma un bacio nasconde il pugnale, in nome dell’infame codice etico mafioso. Scorsese ha scelto anche musiche favolose: ha fatto suonare “Layla“, sul set mentre girava la scena in cui i cadaveri vengono scoperti nell’auto e nel camion della carne. A volte, i testi delle canzoni venivano messi anche tra le righe di dialogo per commentare l’azione. “Dalla miseria alla ricchezza” di Tony Bennett sui titoli di apertura, e “Parlami d’amore Mariu” di Giuseppe Di Stefano quando il giovane Henry viene pizzicato per aver venduto sigarette.
Rivoltelle e tagliatelle
Il sugo preparato in carcere nel film di stasera in tv “Quei bravi ragazzi“, segue fedelmente la ricetta di Catherine madre di Martin Scorsese. La ricetta è presente anche nei titoli di coda del documentario ‘Italianamerican‘, nel quale i genitori del regista raccontano storie di emigrazione, il loro passato a New York, le radici siciliane. E la madre svela ingredienti, esecuzione e segreti di quel leggendario ragù. “Quando ti trovi una brava ragazza?”. “Ne trovo una ogni sera, mamma”.
Federica De Candia. Seguici sempre su MMI e Metropolitan Cinema!