Cultura

Radici nel Cemento: Fuego y Corazon (recensione album)

Quando la tarda primavera lascia spazio alle prime vere luci dell’estate: questa è la stagione delle positive vibrazioni, il momento giusto per tornare all’aperto, insieme, ritrovandosi in perfetta sintonia con la buona musica di origine giamaicana. Ed è una lunga storia d’amore, un aromatico abbraccio quello che annulla ogni distanza tra l’isola caraibica e la penisola mediterranea: di là e di qua, rami di un albero a sfidare il cielo, origini ben salde nella giungla d’asfalto della Metropoli Babilonia. Questo è il tempo per “Fuego Y Corazon”.

Ottavo album di studio, frutto di un processo creativo durato tre anni, la band romana Radici nel Cemento centra un ottimo risultato: si tratta infatti del lavoro più eclettico, eterogeneo e internazionale realizzato in 25 anni di carriera, non tanto una conferma di buona salute creativa
(mai messa in dubbio, anche in questa nuova fase del post-Adriano Bono, saldamente guidata da Giulio Ferrante e Giorgio ‘Rastablanco’ Spriano) quanto un desiderio dichiarato di uscire da certi schemi, da una romanità autoreferenziale, per giocare e talvolta sperimentare in un campo ben più aperto senza tradire quanto di meglio c’è sempre stato nel proprio sound.

E allora: reggae, ska, rocksteady, dub. Gli ingredienti stilistici d’importazione ‘From Jamaica’ sfilano smaglianti uno ad uno, declinati e coniugati alla maniera unica dell’ottetto capitolino, una forza della natura alimentata da due voci soliste (i già citati Giorgio & Giulio, anche autori dei testi nonché chitarristi e bassisti), controparte ritmica, tastiere e una sezione fiati che canta e incanta da par suo, alimentata dal sontuoso lavoro d’arrangiamento – opera quasi esclusiva di Pierfrancesco Cacace,
al sax tenore e al flauto nella band.

In “Fuego Y Corazon” sono almeno cinque le vie percorse a livello tematico/testuale, dita di una mano che sa carezzare oppure colpire forte senza causare dolore fisico, come solo la musica sa fare.

C’è la canzone d’amore, “La Ginnastica der Core”, legata qui più che altro alle dinamiche dell’attrazione, dell’innamoramento o della sua mancanza; la piccola/grande galleria di ‘ritratti di uomini esemplari’, perché Le Radici nel Cemento sono anche memoria storica troppo spesso dimenticata nella società ‘iper-connessa’ contemporanea (Aleksey Mosgovoy è il “Comandante nella neve”, capo dei ribelli della Repubblica Popolare di Lugansk, nell’ex territorio dell’est Ucraina, ucciso in un’imboscata nel 2015; ad Abdullah Ocalan, guerrigliero rivoluzionario, leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, è dedicata “Ho fatto un disegno”); la strada ispirata dall’impegno sociale e civile a favore di diritti troppo spesso calpestati
(tra cui spicca “Il valore del lavoro vero”, primo singolo estratto); la dichiarazione d’appartenenza (“Rootsman” e “Reggaeska”) e il recupero di una vecchia perla di Romolo Balzani (“Pe’ Lungotevere”) da reinterpretare per riportare alla luce una Roma anni Venti/Trenta ormai irriconoscibile.

E non finisce qui: già, perché oltre alle consuete spezie caraibiche lungo i 14 brani che compongono l’album c’è spazio anche per divagazioni e sperimentazioni ‘altre’: pensiamo a cumbia e techno, che faranno capolino quando meno l’ascoltatore saprà immaginare.
Alternanza linguistica nel cantato: oltre all’italiano – e alle sue inflessioni romanesche – largo uso di inglese e spagnolo, a voler sottolineare l’allergia alle barriere prima di tutto comunicative/espressive.  

Ci sono cori di voci che chiedono giustizia (per l’omicidio irrisolto di Valerio Verbano, militante romano di Autonomia Operaia assassinato da estremisti di destra non ancora identificati, nel febbraio del 1980), altre voci che si alzano per reclamare diritti (è il caso di Enrico Berlinguer, segretario storico del Partito Comunista negli anni Settanta e Ottanta) e altre ancora per condannare il racket legato allo spaccio delle droghe pesanti
(“No Pushman”, che accogliamo con piacere: per una volta infatti non si indugia nel cliché reggaefilo della legalizzazione della Marijuana).

Infine le citazioni: in formato di mini clip audio si omaggiano alcuni grandi del passato tra musica (l’inciso di “Space Oddity” di David Bowie, ma anche il battito cardiaco, leggendario incipit di “The Dark Side of The Moon” dei Pink Floyd) e cinema (“Trainspotting” di Danny Boyle, ma soprattutto la Anna Magnani di “Mamma Roma” di Pierpaolo Pasolini).

Tutto questo è “Fuego Y Corazon”, un album gradevole e interessante, che la band canterà e suonerà dal vivo già a partire dal 26 maggio, all’Acrobax di Roma. Un augurio di vento a favore.

Ariel Bertoldo

 

 

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