Parliamo di Recovery Fund. Nel bel mezzo di una situazione politica particolare, altalenante, instabile ed incerta, l’analisi della situazione sociale ed economica del Paese mostra – nonostante tutto – alcuni elementi di disastrosa chiarezza, resi quanto mai evidenti da una crisi sanitaria ed economica ormai galoppante.
Il dramma dell’occupazione
L’ISTAT ce lo dice a chiare lettere: a dicembre 2020 risultano 101mila occupati in meno, e di questi 99mila (ossia la quasi totalità) sono donne. Allargando il nostro sguardo ai 12 mesi precedenti il numero dei nuovi disoccupati sale a 444mila. Dico solo che 312mila sono donne. Numeri disastrosi, e che pendono pericolosamente verso quella metà della nostra società composta da lavoratrici, di ogni età.
Eppure sono mesi che si parla con entusiasmo di questa magnifica panacea economica: i Fondi di Next Generation EU (che – con una semplificazione – tutti indicano semplicemente come Recovery Fund): il vero punto è però come investirli.
Recovery Fund: Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza
La risposta è contenuta nelle tante pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR (ancora una volta, conosciuto gergalmente come Recovery Plan). Pagine e pagine di buoni propositi e prospettive in cui, nelle varie versioni, appare più o meno visibile un accento sulla parità di genere.
Prima questione: l’ultima versione del Piano, purtroppo, fa una retromarcia. La parità di genere, che nella prima versione appariva come una pilastro guida ed una delle missioni da perseguire, si riduce. Si associa all’inclusione sociale, ai giovani ed alle disuguaglianze territoriali, quasi a voler creare un’unica carovana di problemi che stanno lì, che sì “bisogna risolverli”. Ma vuoi che alla fine non appartengano ad un unico groviglio? Certo, sono problemi endemici e strutturali, ma ognuno ha bisogno di soluzioni ben diverse – magari interconnesse – ma specifiche, puntuali, attente.
Lo abbiamo detto in tutti i modi possibili e immaginabili. La pandemia è stata un booster per le disuguaglianze di genere. Il problema è che si lotta contro problemi e caratteri strutturali della nostra società a cui mai si è messo realmente mano negli ultimi decenni.
Recovery Fund: quale visione?
C’è bisogno di una visione ampia, strutturata, organica, ambiziosa. Il Commissario UE agli Affari Economici Paolo Gentiloni evidenzia che nei Recovery Plan europei è necessaria una valutazione di impatto di genere trasversale; un impianto di misurazione che includa anche le grandi politiche di sostenibilità e di sviluppo tecnologico e digitale, ma prima di valutare bisogna implementare.
Cosa serve allora? Si susseguono in questi giorni le audizioni parlamentari sul PNRR ad opera di donne attive e promotrici di un cambio di passo per la parità di genere. Da Linda Laura Sabbadini, a capo dell’engagement group Women20 del G20, all’associazione il Giusto Mezzo che insiste da mesi su di un equo utilizzo delle risorse.
Nell’attuale bozza del Piano troviamo accenni a tre punti. Occupazione ed imprenditoria femminile, aumento degli asili nido ed investimenti in competenze STEM. Poco, tutto e niente. Parliamo di tre priorità fondamentali, senza dubbio.
Ma il vero problema è: oltre gli intenti, qual è la pratica? Bastano davvero i soldi previsti per gli asili nido (oggi che siamo ben lontani dall’obiettivo di Barcellona del 33% di copertura territoriale) per sostenere le donne? Che significa “investire nell’imprenditoria femminile” in maniera concreta? Ci rendiamo conto che il supporto all’occupazione femminile passa per mille temi interconnessi? Parità salariale, work-life balance, investimenti nelle competenze, eliminazione definitiva di stupidi pregiudizi?
Dove guardare
Dunque una visione che metta a sistema i punti precedenti, ma che vada oltre. Servono servizi sociali e di prossimità accessibili. Serve valorizzare e remunerare adeguatamente il lavoro di cura (formale ed informale, sommerso e non).
Serve investire in donne e competenze di alto livello in ambito green e tech (altrimenti, se investiamo il 57% delle risorse in questi ambiti – come vuole l’UE – le donne rimarranno fatalmente escluse), serve un welfare di comunità vero.
C’è bisogno di servizi, in cui non si è mai realmente insistito: dal sostegno sanitario, alle case rifugio, ai centri antiviolenza. Eh no, non ce la dimentichiamo la violenza, l’inibitore principale dell’empowerment femminile. Figlia di una cultura patriarcale da sradicare.
E serve costruire una mentalità nuova, culturale, politica, sociale. Mentre scrivo, in sottofondo, scorrono le notizie su questo fantomatico “tavolo di confronto”: 15 uomini e 2 donne. Numeri. Ancora numeri, che si legano ai dati citati all’inizio di questo commento. Dati quantitativi che parlano di un elemento qualitativo che deve essere sradicato. Serve un mondo nuovo, una prospettiva reale ed inclusiva anche per le donne.