Restart, il primo spazio italiano che sostiene la salute mentale nella musica

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Di Redazione Metropolitan

La salute mentale è ancora un tabù nella società contemporanea, eppure tutti possono incorrere in periodi di fragilità mentale nell’arco della vita, anche a causa del lavoro. Vogliamo parlare proprio di questo con Restart, la prima realtà italiana nata per dare supporto psicologico ai lavoratori del settore musicale, dove lo stigma sociale è ancora più forte che in altri ambiti. MMI ha intervistato la dottoressa Michela Galluccio, segretaria, tesoriera e coordinatrice del team di psicologi dell’associazione, per scoprire come questa opera e quali sono le difficoltà di chi vi si rivolge.

Restart, la nascita dell’associazione

Quando e come nasce l’idea di Restart?

L’idea di Restart nasce nel giugno 2019 quando Flavia Guarino, attuale presidente e mia amica da quindici anni, mi contatta dicendomi che ha avuto un’idea. Lei è una manager nell’ambito musicale, lavora per OTR live, un’agenzia che segue musicisti anche molto famosi, che a seguito di un’esperienza diretta con il burnout ha cercato a lungo un ente che potesse fornire un aiuto psicologico ai lavoratori del settore musicale come lei, ma non ne ha trovato nessuno sul territorio nazionale. Non è troppo difficile immaginarselo, in realtà, considerando che in Italia non esiste nemmeno un sindacato per questo settore.

Comunque, Flavia, sapendo che mi interesso di musica poiché in passato avevamo anche lavorato insieme in radio, mi propone di creare proprio un’associazione che rispondesse alle esigenze dei lavoratori dell’industria musicale, consapevole del fatto che sarebbe stata utile anche a tanti altri suoi colleghi. Così uniamo le forze e a settembre 2019, grazie anche all’aiuto di Azzurra Funari, vicepresidente e anello di congiunzione tra l’anima musicale e quella psicologica del progetto, in quanto ha una formazione psicologica ma lavora nella musica, facciamo partire Restart.

Restart
Il logo di Restart. Design di Strawboscopic.

Da settembre a novembre 2019 ci siamo fatti conoscere partecipando con i nostri banchetti, panel e talk a eventi di rilevanza nazionale come il KeepOn Live Fest di Roma, l’Indie Pride di Bologna e il Linecheck di Milano. Siamo così riusciti a coinvolgere altre persone che ci potessero aiutare nel progetto con i social e con le grafiche. Ha preso poi forma il team di psicologi, sempre crescente, che adesso conta circa una quindicina di professionisti sparsi in tutta Italia. Il 18 febbraio 2020 ci siamo ufficialmente costituiti come associazione culturale.

Durante il primo lockdown

Poco prima che scoppiasse l’emergenza sanitaria anche in Italia: questo vi ha dato un brutto stop?

Altroché! Avevamo già tantissime idee e progetti pronti a partire, eventi live, partecipazioni a festival. La battuta di arresto, però, non ci ha affossato del tutto perché verso metà marzo abbiamo creato uno sportello di supporto psicologico su Skype, durato fino a inizio giugno. Io e il team di psicologi abbiamo coperto su turni questo sportello attivo tutti i giorni, le persone prendevano appuntamento per fare questo primo colloquio gratuito con noi. C’è stato un grande afflusso e alcune persone hanno poi deciso di continuare il proprio percorso psicologico con alcuni dei nostri professionisti. È stata una bella soddisfazione poter dare una mano in un momento veramente critico per il settore.

Una realtà inedita

Che feedback avete avuto dalle persone che si sono rivolte a voi?

Abbiamo avuto conferma del fatto che ne avessero bisogno. All’inizio del nostro progetto abbiamo lanciato un questionario, riadattato da quello già proposto da Help Musicians UK, realtà a cui ci ispiriamo. Nella sezione dedicata alla tutela psicologica, sia noi che il nostro corrispettivo inglese abbiamo rilevato una mancanza di questo tipo di supporto per i lavoratori dell’industria musicale. Oltre ai numeri dati dalle statistiche, abbiamo poi riscontrato l’effettivo bisogno del servizio proprio durante lo sportello che abbiamo lanciato durante il lockdown. Siamo stati dei pionieri in questo senso, per questo abbiamo avuto molti riscontri positivi.

Obiettivi associativi

Quali obiettivi vi siete posti come associazione?

Per quanto riguarda gli obiettivi, Restart viaggia su due binari che poi si riflettono nelle nostre due macro tipologie di attività. Uno è il supporto psicologico, sia con lo sportello Skype che con una serie di altre possibilità a cui accedervi. Essendo io coordinatrice del team di psicologi, sto cercando di allargare il team per averne almeno uno a regione, in modo tale da poter offrire un servizio comodo anche a livello logistico. Così, se una persona vuole continuare il suo percorso dal vivo ha più possibilità di avere uno psicoterapeuta vicino. In un futuro spero di poter avere una rete che possa coprire anche a livello provinciale. Il secondo obiettivo è la divulgazione, necessaria per abbattere lo stigma sociale sulla salute mentale. Ce ne occupiamo scrivendo articoli, producendo una serie di post e di campagne. A breve ne partirà una, molto bella, che coinvolgerà anche artisti famosi.

Il nuovo format

Mercoledì avete lanciato un nuovo format, “Restore”. Come nasce e qual è il suo focus?

Abbiamo chiamato questo format Restore un po’ perché ci ricorda Restart e un po’ per il significato intrinseco della parola, ripristinare, restaurare, ristabilire la nostra opinione non solo sulla sofferenza psicologica ma soprattutto sui disturbi mentali propriamente detti. Nei video parleremo di depressione, di ansia, di disturbo bipolare, sui quali ci sono tantissimi falsi miti, anche riguardo alla pericolosità di una persona che presenta uno di questi tipi di disturbo psicologico, o l’impossibilità di averci a che fare.
Vogliamo sdoganare l’idea di pazzia. Con Restore parliamo dei disturbi mentali con persone esperte nel campo, ma cerchiamo anche di capire tutti questi falsi miti per sfatarli. Cerchiamo di normalizzare l’opinione pubblica nei confronti della malattia mentale, rendendola giusta, adeguata e con un substrato di informazione corretta.

Malattia mentale e industria musicale

Perché, secondo te, nel mondo della musica lo stigma è così forte?

L’ambiente musicale richiede una grandissima forza, sia psicologica che fisica. Fisicamente devi reggere ritmi molto difficili richiesti da questo lavoro, sia come musicista sia come addetto. Pensiamo ad un tour di venti giorni con date in tutta Europa in cui ogni giorno prendi un aereo, cambi albergo, devi sempre essere performante. Non è cosa da tutti e non è facile. A livello psicologico, poi, devi essere sempre sul pezzo, non ti puoi permettere di avere ansia da prestazione, di essere giù di morale. I due aspetti si riflettono in uno stigma perché è proprio il mestiere stesso che non ti permette di avere una fragilità. Se ti fermi per un po’ sei subito additato come incapace. Tutto questo si associa ad una scarsissima informazione su questi temi, anche se penso che tale flagello sia nazionale, perché in Italia è scarsa anche la conoscenza della figura professionale dello psicologo.

Non a caso la gente continua a stupirsi quando artisti famosissimi si suicidano per i motivi che abbiamo appena elencato. Così è stato, ad esempio, per Avicii, del quale abbiamo parlato in un post del nostro blog. Per quanto riguarda prettamente gli artisti, inoltre, esiste il binomio persona-personaggio. Se sei un artista famoso lavori anche per costruirti un personaggio. Quel personaggio, che per definizione non è la persona, deve soddisfare sempre le aspettative del suo pubblico. Il problema nasce quando la persona dietro il personaggio non riesce a farlo in ogni momento, cosa che accade molto spesso. La convivenza della persona con il suo personaggio senza un supporto psicologico può diventare così complicata da rischiare che questa linea di confine si annulli. D’altra parte il personaggio costruito non mostra le caratteristiche di un problema di salute mentale: questo può alimentare la sofferenza per la persona che invece ne soffre.

Restart
Avicii. Photo credit: m2o.it.

L’impatto psicologico del virus

Da quanto hai potuto apprendere parlando con i pazienti, il Covid ha impattato in modo importante sulla salute mentale dei lavoratori di questo settore, facendo ammalare anche persone che non avevano sofferenza psicologica prima del virus?

Sì. Il il nostro sportello ha avuto un riscontro positivo anche per questo. Ci sono persone che sono venute a chiederci aiuto proprio perché la precarietà lavorativa causata dal virus aveva creato loro non pochi scompensi a livello psicologico: sono sia musicisti, quindi artisti in senso stretto, sia lavoratori nell’ambito musicale. Sembra, per di più, che lo scompenso sia stato maggiore per i lavoratori dietro le quinte che per gli artisti stessi, perché molti musicisti sono comunque riusciti ad attingere alle loro risorse creative per continuare a lavorare, facendo uscire video girati in casa, montando e pubblicando nuove canzoni dalla propria camera. Non dico che sia stato facile nemmeno per loro, vedendosi interi tour annullati, però per il solo fatto di essere artisti hanno potuto trovare soluzioni per affrontare il periodo.

Chi invece ne ha sofferto pesantemente e ne soffre ancora oggi, sia a causa delle nuove restrizioni che degli strascichi dell’inverno, è invece il lavoratore “dietro le quinte”. Queste persone o hanno proprio perso il lavoro o non sono più riusciti a fatturare, altri ancora hanno perso ingenti cifre, ormai irrecuperabili. Molti gestori di locali, anche rinomati, hanno dovuto chiudere definitivamente le loro attività dopo decenni perché le spese erano diventate insostenibili. La gestione del governo, inoltre, che ad ogni restrizione imposta ha penalizzato in primis questo settore, ha fatto sentire i lavoratori della musica e dello spettacolo come i più sacrificabili. Queste persone si sono sentite svilite nella loro identità sia personale che lavorativa. Con Restart (qui il sito Internet dell’associazione) cerchiamo di riequilibrare anche questa loro errata percezione.

Intervista a cura di Francesca Staropoli

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