Il Segreto di Monkey Island è addirittura più vecchio di me! Il videogioco cult che ha come protagonista il caro Guybrush Threepwood compie trent’anni quest’anno.

Il capolavoro di Lucas Arts è entrato nel cuore di migliaia di persone e ha portato alla ribalta un genere videoludico specifico, come quello delle avventure grafiche punta e clicca.

Con Il Segreto di Monkey Island inauguriamo, quindi, il primo approfondimento della rubrica RetroNerd!

RetroNerd #1 – Il Segreto di Monkey Island

Creato dalla mente di Ron Gilbert, ideatore del linguaggio di script denominato SCUMM, inizialmente creato per la prima avventura grafica storica della compianta Lucas Arts, Maniac Mansion, al quale successivamente si sono uniti i game designer Tim Schafer e Dave Grossmann, Monkey Island prende ispirazione da Disneyland, grazie alla giostra “Pirates of the Caribbean“, proprio quella che a sua volta ha inspirato la fortunata serie di film “I Pirati dei Caraibi” con cui Monkey Island, non c’è da stupirsi, condivide tantissime similarità: la verve comica dei protagonisti, navi fantasma e Barbossa che condivide il suo aspetto con LeChuck, il nemico principale di Guybrush Threepwood, protagonista della serie.

Pubblicato nel 1990 su supporto floppy disk per Atari ST, Amiga, PC e Macintosh, passò al CD-ROM su Sega CD. Per quanto, all’epoca, il primo capitolo di Monkey Island era un gioiellino per gli occhi, tutto il suo fascino stava non tanto nella sua resa grafica lodevole seppur con i limiti del tempo, quanto nel gameplay e nella sua storia per certi versi più matura ed adatta ad un target ben definito, di adolescenti e giovani adulti.

Schermata iniziale del gioco. Una piccola curiosità: il nome Guybrush deriva da un’estensione del file su cui lavorava l’editor grafico Steve Purcell. In origine, il file dedicato al protagonista, chiamato semplicemente Guy era seguito dall’estensione .brush. Da lì il nome celebre, storpiato da tutti gli NPC! Fonte: web

Tutto ha inizio in una piccola isola nel Mar dei Caraibi. Il giovane Guybrush Threepwood è un maldestro ragazzo con una grande ispirazione: vuole diventare un pirata! Se fosse per lui, addirittura il migliore di tutti i tempi! Per questo, è giustificata la sua presenza su Melée Island.

Sull’isola, infatti, può sottoporsi alla prova di diventare un pirata e, per farlo, dovrà seguire – in questo ordine – tre temibili prove: vincere una gara di insulti con la grande spadaccina Carla, trovare l’idolo dalle molte mani nella casa della governatrice dell’isola, ed infine, trovare un grande tesoro. Un gran da fare per il giovane Guybrush, che non demorderà affatto.

Da lì Guybrush sarà coinvolto, suo malgrado, in rocambolesche avventure ai limiti dell’assurdo che lo porteranno a salvare Elaine Marley, governatrice dell’arcipelago delle tre isole di cui fa parte anche Melèe in cui è approdato il nostro apprendista pirata, fino a sbarcare su un isola popolata da cannibali (l’isola Scimmia, appunto!) e uccidere un pirata non-morto, il temibile LeChuck!

La storia di Monkey Island è ricca di infiniti particolari, situazioni esilaranti, con un sottobosco di personaggi secondari che riesce a rubare la scena al protagonista anche per brevi secondi e diventare, a loro volta, assolutamente caratteristici ed indimenticabili.

Sin da subito salta all’occhio il fatto che Monkey Island si riferisce in modo quasi canzonatorio agli altri famosi esponenti del genere delle avventure grafiche, in precedenza limitate ad avventure testuali in cui il giocatore doveva intervenire in minima parte.

Il “segreto” del suo successo sta, appunto, nella sua natura demenziale, divertente, capace di tenere incollato allo schermo il videogiocatore per giorni. Tuttavia, malgrado la natura scherzosa del titolo, Monkey Island non nasconde una storia più matura, dedicata, come detto poc’anzi, ad un pubblico diverso da quello infantile. Il gameplay richiede infatti un punto di vista più creativo, pensiero laterale, o semplicemente tentativi a casaccio. Questo va dalla risoluzione di enigmi, come quello in cui è necessario prendere un cottonfioc gigante per poter aprire un portale a forma di testa di scimmia, ovviamente da inserire nel suo orecchio, alla scelta di risposte durante il duello di insulti: allo sfottò: “Ho parlato con scimmie più educate di te!“, Guybrush per assicurarsi l’incontro risponde: “Sono contento che tu sia andato ad una riunione di famiglia“. E infiniti altri ancora.

La celebre scimmia a tre teste! Fonte: web

Oltre ad essere un divertissement unico nel suo genere, l’utilizzo di frasi demenziali e apparentemente non-sense del duello d’insulti era messo lì per mascherare una grossa lacuna a livello tecnico che affliggeva i prodotti Lucas Arts in quegli anni: il ritardo nella risposta degli input dei comandi. Per aggirare questo ostacolo, la Lucas Arts pensò bene di abolire il duello con le spade a favore di qualcosa di più “concettuale”.

Guybrush oltrepassa spesso la quarta parete, un espediente che abbiamo successivamente trovato anche nel cinema e nei fumetti, era la prima volta che qualcuno riusciva a farlo in un videogame. Se in Monkey Island si clicca sul sole, Guybrush quasi sorride sornione, dicendo “oh sì, certo, andare verso il sole!”, considerando la natura assurda della nostra decisione.

La famosa frase cult: “dietro di te c’è una scimmia a tre teste” che, per chi non lo sapesse, può sembrare un espediente fantasioso creato da Guybrush stesso per allontanare i cannibali, ed invece no, nei Caraibi di Monkey Island esistono davvero scimmie a tre teste, oltre a pirati zombie, polli di gomma che nascondono una carrucola e così via: Monkey Island è la prima avventura grafica a disporre di tantissimi elementi, dai personaggi agli oggetti sullo schermo, grazie al motore grafico SCUMM, utilizzato da Lucas Arts per tanti altri capitoli pubblicati nei primi anni Novanta. Tutto contrassegnato dall’armoniosa comicità che lo circonda.

Giocare adesso a Monkey Island è possibile su computer, è gratuito (e legale) scaricare tutti i titoli Lucas Arts da ScummVR oppure è disponibile una versione completamente remasterizzata per PS3, Xbox 360, Steam e sulla piattaforma di videogiochi streaming PS Now.

Personalmente, mi sono affacciata a Monkey Island come altri miei coetanei che non hanno avuto il privilegio di videogiocare negli anni Novanta, perché troppo piccoli. Queste remastered mi hanno aiutato nel recupero di questi titoli cult ma riconosco che approcciarsi adesso è significativamente diverso rispetto all’esperienza unica di gioco che si viveva all’inizio del 1990.

La schermata di gioco. Di sotto, tutti i comandi da utilizzare e l’inventario oggetti. Fonte:web

L’epoca di Monkey Island, ma anche Indiana Jones Fate of Atlantis o LOOM, era l’epoca in cui internet non esisteva e, con lui, anche guide strategiche, walkthrough tramite video. La soluzione degli enigmi di Monkey Island veniva trasmessa con il passaparola, con l’ingegno. Era uno sforzo che il videogiocatore doveva impiegare anche una volta spento lo schermo. Erano videogiochi che favorivano il problem solving e il decision making (seppur a tratti “bizzarro”) che sono competenze utili nella nostra vita di tutti i giorni.

Oggi, con l’avvento di internet, grazie alla facilità che abbiamo nel reperire le informazioni e le soluzioni in giochi di questo genere, il “mistero” che aleggia dietro giochi come Monkey Island è un po’ svanito. Dobbiamo, quindi, fare uno sforzo ad immaginarci nei primi anni Novanta e far finta di essere davanti ad una vecchia Amiga, eliminando tutte le influenze esterne, evitando la “via più facile”, accettando la poca immediatezza di un gioco così retrò a confronto con i titoli di oggi a 60 fps e che dir si voglia.

L’altro segreto del successo di Monkey Island sta nel game design. La struttura di gioco è creata per non far “bloccare” il videogiocatore in uno scenario, marchio di fattura di tutte le altre avventure punta-e-clicca prima di lui. Poteva capitare, nei titoli precedenti, di essere bloccati in una stanza, di non aver preso un oggetto importante per la missione, addirittura fare “game over” e riprendere da un vecchio salvataggio.


In Monkey Island, il “game over” non esiste. Guybrush non può morire. Gira in tondo in una mappa alla ricerca del prossimo indizio, dinamico nella sua staticità. Gli sviluppatori di Monkey Island garantiscono la possibilità al giocatore di non demordere, di riprovare nel creare strategie alternative, cercare soluzioni possibili.

E’ come se Monkey Island avesse un’architettura verticale, piuttosto che orizzontale, dall’alto verso il basso. E’ come se fosse una casa di carta, un cubo di Rubik.

Ingegno ed ilarità. E’ questo il segreto del successo di Monkey Island.

Al prossimo appuntamento con RetroNerd, che tratterà un altro capolavoro targato Lucas Arts!

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