“Interstellar”, il colosso del decennio; il budget dei budget. Siamo davvero sicuri che la nuova puntata di “Road to flop” voglia prendere e sparare a zero su un film tanto acclamato? La risposta la sapete. A Chris Nolan non si può non volere bene, ma, d’altro canto, quando ci si imbarca in lidi manieristici, provando a imitare i grandi del passato, il rischio di spiazzare il pubblico va messo in conto. Pertanto, come al solito, andiamo ad analizzare la trama.
Tra buchi e tesseratti
Joseph Cooper (Matthew McConaughey) è un ex-astronauta ora datosi all’agricoltura. Siamo in un futuro piuttosto prossimo, con la nostra Terra inaridita da una “piaga” che sta distruggendo i raccolti. Per tale ragione, le ricerche scientifiche sembrano esser state soppiantate da un rinato interesse per le colture. In questo clima, la Nasa continua a muoversi sottotraccia, decisa a raggiungere un nuovo pianeta da colonizzare a causa della prossima inabitabilità del Pianeta. Cooper, per vie apparentemente casuali, scopre il covo segreto della Nasa e, di lì a poco, si ritrova a partire per una missione spaziale che sfrutterà un wormhole, posizionato nei pressi di Saturno, per raggiungere tre pianeti potenzialmente abitabili, stazionanti attorno a un buco nero.
“Loro”…
Partiamo subito con la strategia narrativa che più fa storcere il naso: “Loro“. A Nolan è piaciuto parecchio scimmiottare “2001: Odissea nello Spazio“, soprattutto per ciò che riguarda la presenza di “signori” dell’iperspazio, capaci di agire al di fuori delle quattro dimensioni di spaziotempo che noi conosciamo. Tuttavia, laddove Kubrick lasciava parlare le immagini per minuti interi, Nolan trova una risposta più sbrigativa: “Loro“.
Sin dall’inizio, è dato per assunto che quel wormhole sia stato creato da codesti “signori” dell’iperspazio, giungendo quindi alla conclusione che la “teoria del contatto” si sia semplicemente spostata di qualche milione di chilometri. Poiché siamo ormai portati a considerare il contatto alieno come un’ipotesi superata, Nolan, innamorato alla follia del film di Kubrick, ha voluto mantenere l’idea, ma in termini più futuribili.
Tuttavia, la presenza di suddetti “signori” dell’iperspazio appare tanto carente da un punto di vista narrativo quanto buttata lì per dare un senso a tutto. E, con ben quarantasei anni sul groppone, già vista. Come detto, in “2001“, parlavano solo le immagini, e tutto stava nell’interpretazione dello spettatore. In “Interstellar”, invece, sembra quasi assodata la loro esistenza. Quasi come se, da un momento all’altro, la loro presenza sia diventata tangibile e, nondimeno, accettata con disinvoltura.
Lo spazio “Interstellar” è zeppo d’amore
E rimarchiamo l’idea di “buttata lì” anche per tutto ciò che riguarda il rapporto tra Cooper e la figlia Murph. Bellissimo sul piano concettuale, ammettiamolo: l’amore che sovrasta le leggi fisiche. Peccato che il film si perda così tanto nelle sue elucubrazioni scientifico-filosofiche che l’amore pare aggiunto solo alla fine. Le riflessioni poste da Cooper e dal resto della sua équipe, comparate al finale nel tesseratto, sembrano non avere nulla in comune. E’ come se il regista, coadiuvato dai suoi consulenti scientifici, abbia voluto scrivere un sunto delle teorie di Hawking sui buchi neri, per poi aggiungerci una scena d’amore paterno nel finale.
Il poco spessore del personaggio di Murph, molto poco sopportabile nella sua fase adulta, e parecchio magniloquente nelle ultime frasi da decana, non ci permette di apprezzare appieno lo scioglimento proposto da Nolan. Lo stesso Cooper, in diverse parti del film, finisce spesso per incarnare lo stereotipo dell’uomo though and cool, contraltare ideale per gli attributi da nerd che caratterizzano i suoi collaboratori. Tuttavia, il modo in cui è uso rispondere loro, celando a fatica la propria ignoranza in fisica teorica, risulta quasi un tentativo di scimmiottare il duro alla Humphrey Bogart. Così come, del resto, anche i due robot appaiono come mere imitazioni – “CASE“, oltre a dare risposte simili, ha persino il medesimo accento da maggiordomo di HAL 9000 -.
“Interstellar”, tra iperspazio e ipertrofia
Un film che si perde nella sua estetica. Effetti speciali da antologia, costumi e scenografie da far rabbrividire la realtà stessa. Ricostruzioni che farebbero arrossire le fotografie del telescopio Hubble. Tutto il resto, però, è un concentrato di retorica e di pomposità. Tanto nei dialoghi, quanto nelle dissertazioni scientifiche. Un nugolo di idee che poteva e doveva essere espresso meglio. Perdersi nell’omaggio manierista a “2001“, proponendo qualcosa di base totalmente diversa, ha fatto sì che “Interstellar” divenisse un film incompiuto. Dal sapore retorico, senza quella giusta dose di sostanza che avrebbe davvero potuto tramutarlo nel “2001” moderno, o, perché no, nella perfetta fonte di divulgazione scientifica per il popolo.
MANUEL DI MAGGIO
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