Sono passati diciotto anni dallo scioglimento della boyband più amata dalle ragazzine dell’epoca: nel 1995 i Take That annunciarono l’abbandono della band da parte di Robbie Williams, gettando nel panico milioni di fan in tutto il mondo. A distanza di tempo e dopo una fruttuosa reunion nel 2010, è stato lo stesso cantante, nel corso di un’intervista alla radio britannica BBC 4, a rivelare un particolare inedito: furono gli stessi compagni, tramite Jason Orange che si fece ambasciatore, a chiedergli di lasciare il gruppo a causa dei suoi numerosi problemi con alcol e droghe (mai nascosti da Robbie Williams).

Già Robbie aveva espresso il suo desiderio di andarsene dai Take That dopo il tour di Nobody Else del 1995, ma la sua decisione fu anticipata da un intervento degli altri quattro ragazzi che lo convinsero a lasciare la boyband più famosa e amata del pianeta addirittura prima del tour. Durante un pomeriggio di prove, Jason Orange mi disse “Bob, dobbiamo sederci e parlare. Lascerai comunque la band dopo il tour, quindi abbiamo deciso una cosa e pensiamo che sia il meglio per te adesso: è meglio se te ne vai subito, così possiamo dimostrare di potercela fare anche solo in quattro. Che ne pensi?” Pensai che era l’apertura di una porta. Era tutto ciò di cui avevo bisogno.

Robbie Williams non fu solo invitato ad andarsene prima del tempo, ma fu anche costretto a pagare per lasciare i Take That: lui stesso non sa dire, attualmente, se fu effettivamente licenziato dagli altri o la decisione fosse totalmente sua.

E’ stato un po’ di tutti e due, a quel tempo bevevo parecchio ed ero molto giovane. Per ragioni che non posso approfondire, perché certe persone adorano farmi causa -e adorano vincere- ci fu proprio la necessità di rescindere il contratto e andarmene dalla casa discografica. Credo che guadagnai qualcosa come un milione di sterline nei Take That e mi costò un milione e mezzo liberarmi del contratto. Così a vent’anni ho finito per dovere ancora mezzo milione di sterline ai Take That. La carriera solista di Robbie Williams ha ampiamente ripagato il debito con i successi a venire: nove album in studio -e uno nuovo in arrivo, Swings Both Ways-, più di 70 milioni di copie vendute in tutto il mondo, tour sold out e il titolo di popstar inglese più amata dei primi anni Duemila.

Nella serie targata Netflix si è messo a nudo, raccontando 25 anni di carriera solista e la rottura con lo storico gruppo britannico

Robbie Williams in questi giorni è passato anche in Italia per promuovere la docuserie in uscita il prossimo 8 novembre su Netflix che celebra il traguardo dei 25 anni di carriera solista dopo l’addio ai Take That. Saranno quattro puntate abbastanza intense, almeno a giudicare dalle anticipazioni fornite dal cantante. Ai microfoni del The Mike Hosking Breakfast in onda sulla radio neozelandese Newstalk ZB ha infatti ammesso che si parlerà soprattutto di “sesso, droga e malattie mentali” oltre che di musica ovviamente. Poche censure per mostrare al pubblico un ritratto sincero: “Sono più propenso della maggior parte delle persone a non tagliare mai niente se si parla di me. Molto raramente, se non mai, ho detto: è troppo, toglilo.“

Gli appassionati potranno godere di contenuti inediti, 25 anni racchiusi in una manciata di episodi. È stata un’operazione complicata ma anche i fan più esigenti si sentiranno appagati dalla visione. Dall’esordio col gruppo britannico a 16 anni insieme a Gary Barlow, Mark Owen, Howard Donald e Jason Orange fino alla rottura e l’uscita del suo primo singolo a giugno del 1996 con la cover di Freedom di George Michael.

Oltre che nella serie TV, di cui non è stato spoilerato molto in realtà, anche in tempi recenti il cantante è tornato a parlare di quel periodo abbastanza complicato. In un programma della BBC intitolato Robbie Williams: My Life Thru a Lens aveva spiegato di esser finito nel vortice della dipendenza da droghe: “Mi sentivo come se vivessi in un edificio in fiamme e avevo bisogno di uscire. Provavo queste sensazioni all’epoca e mi dicevo: ‘Okay, faccio questo tour e poi me ne vado’. Furono poi gli altri a chiedermi: ‘Se devi andartene, potresti farlo ora?’”.