
Roberto Gervaso: esponente della grande divulgazione storica italiana e scrittore dall’eloquio lapidario, si spegne a Milano, all’età di 82 anni, dopo una lunga malattia. Ripercorrendo la carriera e il lustro che, il suo ingegno brillante, ha donato all’attuale panorama culturale.
Roberto Gervaso, il divulgatore che amava definirsi aforista
L’irriverente giornalista, storico e scrittore dal lessico lapidario e l’eloquenza fulminea nasce a Roma il 9 luglio del 1937. Trascorre la sua giovinezza a Torino, dove si laurea in lettere moderne con una tesi sul filosofo Tommaso Campanella. E’ il 1960, quando, ha inizio la sua carriera giornalistica presso il Corriere della Sera con Indro Montanelli. Tra il 1965 ed il 1970 ha inizio la sua opera di divulgazione storica: insieme a Montanelli curerà e firmerà la serie di sei volumi Storia d’Italia, edita Rizzoli.

Si occuperà minuziosamente della cronologia storica italiana, dal Medioevo al Settecento Illuminista. Nel 1967, grazie ad uno dei volumi, ”L’Italia dei Comuni. Il Medio Evo dal 1000 al 1250”, Gervaso e Montanelli vinceranno il Premio Bancarella. In seguito, vincerà il suo secondo Premio Bancarella nel 1973 con la biografia Cagliostro. Non solo, dopo questo successo, Roberto Gervaso pubblica numerose biografie storiche: Nerone, Casanova,i Borgia, Claretta Petacci, sempre editi da Rizzoli. A lui si deve anche il merito di aver fatto conoscere il personaggio di Rosa Varcellana, amante ed in seguito moglie del re Vittorio Emanuele II di Savoia.
Un commentatore lapidario
Collaboratore di numerosi periodici e quotidiani, ma anche assiduo commentatore di radio e tv, oltre che prolifico scrittore edito da Rizzoli, Bompiani e Mondadori. Roberto Gervaso è stato anche tra i primi volti noti nella tv commerciale di Silvio Berlusconi: un commentatore lapidario e brillante. Nel 1996 conduce “Peste e Corna”, dal lunedì al venerdì su Retequattro, fino al 1999; divenne poi, Dal 2000 al 2005, una rubrica nominata “Peste e corna… e gocce di storia”. Amava collocarsi fra epigrammi ed aforismi, modelli in cui si barcamenava volentieri grazie al suo lessico sferzante, acuto, graffiante. Diceva di sé stesso:
“Io sono un divulgatore e un polemista. Ho questa vena un po’ epigrammatica e aforistica: non potrei mai scrivere non dico un romanzo, ma neanche un racconto, perchè non ho il tipo di fantasia necessario. Ho bisogno di fatti e di attaccare: sono un po’ un pubblico ministero, non sono capace di difendere nessuno salvo me stesso, e comunque mi difendo attaccando“.
Si definiva ”aforista” in quanto prediligeva l’immediatezza degli aforismi capaci di veicolare messaggi esistenziali. Si ispirava all’abilità oratoria di Oscar Wilde, dalla loquela ed elegante ma dissacrante; ma anche agli epigrammi di Marziale – poeta ritenuto il maggiore epigrammista della letteratura latina – noti per lo stile che riprendeva la satira e la parodia.