Roberto Spada è stato condannato a sei anni di carcere per l’aggressione al giornalista Daniele Piervincenzi ed il cameramen Edoardo Anselmi. Riconosciuto il metodo mafioso.
Era appena il 7 novembre scorso quando il giornalista del programma televisivo “Nemo – nessuno escluso”, Daniele Piervincenzi, stava conducendo un servizio su Ostia, il movimento politico Casapound e il sostegno della famiglia Spada all’alba delle elezioni nel decimo municipio romano.
Il giornalista riesce ad ottenere un’intervista da parte di Roberto Spada, fratello di “Romoletto”, ora in carcere, ritenuto da molti l’attuale vertice della famiglia criminale. Dopo qualche domanda, all’improvviso, con un intento perfettamente mascherato, Roberto Spada sferra una micidiale testata contro il volto di Daniele Piervincenzi, fratturadnogli il setto nasale e con il suo complice, il brasiliano Rubèn Nelson Alvarez Del Puerto inseguono poi la troupe armati anche di manganello.
I fatti, avvenuti alla luce del sole, per strada e davanti alle telecamere, fecero subito scalpore, contribuendo a rafforzare l’attenzione su Ostia e il clan Spada, da anni richiamata anche dalla giornalista Federica Angeli.
Ieri, a pochi a pochi mesi di distanza dai fatti, la giustizia ha finalmente fatto il suo corso.
Roberto Spada è stato condannato a sei anni di carcere insieme al suo complice, Rubèn Nelson Alvarez Del Puerto, nonché al risarcimento del danno, anche a favore della Federazione nazionale della stampa, Ordine dei giornalisti, Comune di Roma, Regione Lazio e associazione Libera, costituitesi parte civile. Inoltre, una volta scontata la pena carceraria, i due, giudicati pericolosi, saranno sottoposti alla misura di sicurezza personale della libertà vigilata.
Fondamentale è stato il riconoscimento da parte dei giudici del metodo mafioso utilizzato da Roberto Spada e Rubèn Nelson Alvarez Del Puerto, già da tempo sottoposti alla custodia cautelare in carcere, rispettivamente a Tolmezzo e a Nuoro.
Tuttavia, il dictum della sentenza non rispecchia pedissequamente quanto richiesto dal pubblico ministero Giovanni Musarò, il quale aveva invece auspicato ad una reclusione di nove anni e otto mesi, vista la gravità dei reati contestati, la violenza privata e lesioni aggravate dal metodo mafioso.
Nella sua requisitoria, il pm Giovanni Musarò ricostruisce la vicenda per filo e per segno, sottolineando elementi e momenti cruciali. “Un’aggressione plateale e ostentata, lucidamente pianificata. – Spada – vuole dimostrare che non ha paura di una telecamera. Ma quando Piervincenzi continua a fare domande, Spada si accorge che la situazione sta diventando un boomerang. E prova a riequilibrare il prestigio del clan con i metodi violenti che lui conosce meglio. Se avesse voluto solo picchiare Piervincenzi senza fare cosa plateale e cercare un ritorno in termini di prestigio – ha continuato Musarò – Spada lo avrebbe aggredito all’interno della palestra, contando sul fido Rubén Alvez. Invece lo fa in strada, davanti a tutti, e soprattutto davanti alla telecamera, in modo plateale e ostentato. D’altronde, cosa c’è di meglio di una telecamera per acquisire quel tipo di prestigio da parte degli Spada?“.
A sostegno dell’operato di Daniele Piervincenzi e Edoardo Anselmi si è espressa anche la Federazione Nazionale Stampa Italiana.
“La condanna in primo grado a 6 anni di reclusione inflitta a Roberto Spada e Ruben Nelson Alvarez del Puerto, ritenuti colpevoli dell’aggressione al giornalista di ‘Nemo’ Daniele Piervincenzi e al cameraman Edoardo Anselmi, è la conferma che sul litorale romano la mafia esiste, come avevano già denunciato anche altri cronisti come Federica Angeli – hanno commentato Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della Fnsi -.
Ringraziamo Piervincenzi e Alselmi – proseguono – e con loro tutti i cronisti dalla “schiena dritta” che con il loro lavoro contribuiscono a illuminare quelle periferie dove la criminalità tenta di nascondere i propri traffici. La Federazione nazionale della Stampa italiana, che, grazie all’assistenza dell’avvocato Giulio Vasaturo, si è costituita parte civile insieme con l’Ordine dei giornalisti e con Libera, continuerà a schierarsi, dentro e fuori le aule di tribunale, al fianco dei giornalisti che indagano su mafie, corruzione e malaffare“.
Ferma la condanna di Roberto Spada e il suo sodale in primo grado, sicuramente da accogliere in maniera positiva, si attendono i successivi sviluppi, memori di come, in passato, sia spesso caduta, per decisione della magistratura, l’aggravante del metodo mafioso (o la qualificazione dell’associazione a delinquere come associazione di stampo mafioso) nei gradi successivi nei confronti dei processi riguardanti il clan Spada così come per gli altri gruppi criminali del litorale romano. Ora, però, complice anche il lavoro svolto dalla giornalista Federica Angeli e le sentenze che sono seguite alle indagini, qualcosa sta cambiando e anche i giudici, grazie alla maggiore conoscenza acquisita, parlano di “mafia”.