Oggi, 20 maggio, Rok Stipcevic spegne 34 candeline. Per l’occasione il play della Fortitudo Bologna si racconta a Metropolitan Magazine. Un’opportunità per conoscere meglio la persona e per capire come stia vivendo quest’ultimo, tribolato, periodo. Per lui è un compleanno che arriva, sicuramente, in un contesto diverso rispetto a quelli festeggiati in passato. In questo momento, se fossimo nella normalità, staremo assistendo alle gare play-off e Rok sarebbe di sicuro tra i più concentrati a raggiungere l’obiettivo Scudetto. La realtà, però, dice altro. Viviamo in un frangente inedito che, ancora non si sa come, tramuterà in un grande cambiamento anche per la pallacanestro. Si può, quindi, immaginare quanto sia difficile per un atleta trovare motivazioni reali quando non si tocca il campo ormai da mesi e mesi. Non sembra, però, essere il caso del soggetto in questione. Rok Stipcevic è uno perennemente “in the zone”, la motivazione ce l’ha nel sangue. Il basket per lui è uno stile di vita. È nato per il gioco. Tanti auguri Rok!
Rok Stipcevic, un canestro per non pensare
Il basket per Rok non è mai stato un semplice sport. Fin dalla tenera età ha subito assunto un’altra funzione. Questo anche, o forse soprattutto, al contesto in cui è cresciuto. Stipcevic ha vissuto gli anni dell’infanzia a contatto con una realtà a dir poco orripilante. Quella guerra fratricida che ha caratterizzato gli anni ’90 della ex Jugoslavia.
“Sono stato nel bel mezzo della guerra. A Zara, la città dove vivevo, le sirene e le bombe erano all’ordine del giorno. Sono stati anni difficili. Ho vissuto per qualche periodo senza luce e acqua e psicologicamente non era per niente facile. Quando uscivi avevi la consapevolezza che, da un momento all’altro, la sirena potesse suonare di nuovo. Nei pressi di casa mia c’era un canestro, dove io passavo tantissimo tempo quando non stavo con la mia famiglia nel piano seminterrato per proteggerci. Da lì è nata la mia passione per la pallacanestro, che negli anni è diventata anche uno sfogo per isolarsi dai problemi e dalle discussioni in seno alla mia famiglia”
A Zara, poi, nei playground l’ambiente era estremamente competitivo. Bisognava farsi valere, per ottenere il rispetto dei più grandi. Per Rok non fu un grande problema. Dare il massimo è nel suo DNA:
“Vengo da un città che vive di pallacanestro, infatti giocare nei campetti di Zara non era cosa per tutti. Era un ambiente molto competitivo e selettivo. Non potevi giocare se non eri capace o non avevi qualità per dire la tua. La mia città ha sfornato tantissimi talenti e, dunque, affrontavo ragazzi molto forti. Se perdevi dovevi aspettare il tuo turno e a volte l’attesa era lunga… Per questo bisognava solo vincere e in più, essendo io il più piccolo, i grandi mi provocavano dandomi grosse responsabilità. Allora davo più del 100% di me stesso“
Rok Stipcevic: il Covid come opportunità
Il discorso si è, poi, spostato su alcune riflessioni relative alla situazione attuale. La pandemia ha cambiato e cambierà il nostro modo di vivere in una società. Stipcevic, su questo argomento, si rivela estremamente saggio. In questi mesi ha fatto di necessità virtù. Questo stop è stato, per lui, un’opportunità per migliorarsi sotto tanti aspetti.
“Io non credo che inizierà una nuova vita. Questa situazione ci ha, però, permesso di fare un restart e di darci il tempo per stare con noi stessi. Un’occasione per riflettere su quanto valgano le cose che facevamo prima e di non dare, di conseguenza, nulla per scontato. Dobbiamo apprezzare quelle piccole cose che, prima di tutto ciò, ci piaceva fare ed essere grati ogni giorno di quello che abbiamo“
Rok è sicuro che queste giornate negative troveranno forza di trasformarsi in opportunità:
“Per me, nella vita, sono importanti le opportunità. Sono convito che, quando si rinizierà a vivere, se ne presenteranno tantissime davanti a noi. Dipenderà da ognuno, poi, coglierle o meno”
Nasceva, quindi, spontaneo chiedergli come avesse affrontato questo periodo di lontananza dai parquet e se ciò avesse intaccato le motivazioni durante gli allenamenti personali:
“Personalmente ciò che mi tiene vivo come sportivo è l’adrenalina. Un sentimento che ritrovo nell’avvicinarsi alle partite, ma anche negli allenamenti che, sul piano dell’intensità, vivo come delle “mini-partite”. Ovviamente, questo mi manca tantissimo. Io, comunque, ho accettato la situazione cercando di lavorare su alcuni aspetti da perfezionare. Ho, infatti, avuto il tempo di riguardare video delle gare di quest’anno e di quello precedente. Poi certo, è stato anche un monito per occuparsi di cose extra-basket. Per esempio sto cercando di imparare la lingua russa. Ciò non vuol dire, però, che mi sia dimenticato della mia “missione”. Dal punto di vista fisico, in Italia, ho fatto il massimo di quello che si poteva fare. Mentre in Croazia, dove l’impatto del virus è stato meno drastico e dunque c’è più libertà di movimento, ho avuto la possibilità di mantenermi in forma con il running, le pedalate in bicicletta e attraverso l’attività aerobica“.
Sassari sempre nel cuore
Dopo aver affrontato argomenti come i suoi primi passi nel mondo della pallacanestro e la situazione attuale, ci siamo dunque spostati sul suo arrivo, ormai quasi dieci anni fa, in Italia. Rok ha giocato in piazze importantissime del nostro basket. Delle esperienze passate una, però, gli è rimasta particolarmente addosso:
“In ogni piazza in cui ho giocato, per fortuna, mi sono trovato sempre bene. Ognuna ha un posto nel mio cuore. Se dovessi, però, scegliere una dove penso di essere cresciuto, sia caratterialmente che come giocatore, direi Sassari. In Sardegna ho passato 3 anni indimenticabili, grazie anche al fatto di avere avuto attorno persone e professionisti esemplari”
Stipcevic sostiene di essere stato molto colpito dall’attaccamento del pubblico sassarese verso la propria squadra. Un rapporto che trova molto simile a quello per una nazionale. Lui che, comunque, con la sua Croazia ha vissuto esperienze che si porterà dentro per sempre:
“I sardi sono molto orgogliosi della loro terra. Per loro la Dinamo è come se fosse la loro nazionale. Quando giochi lì, senti il peso di tutta la Sardegna. Una cosa che mi ha subito colpito, appena arrivato a Sassari, è proprio l’orgoglio che contraddistingue questo popolo. Ciò mi è piaciuto tantissimo, perché ho sentito delle sensazioni analoghe a quando rappresento il mio paese. Nonostante questo, trovo che giocare per la Croazia sia qualcosa che non si possa di certo comparare. L’obiettivo di ogni giocatore croato è giocare per la Nazionale. Io sono stato molto fortunato. Ho disputato 2 Europei e un Mondiale, ma nulla è come prendere parte alla spedizione olimpica. I primi due, alla fine, sono tornei sempre di pallacanestro, mentre i Giochi sono il top che un atleta, in generale, possa raggiungere nella sua carriera. Quell’esperienza la porterò sempre nel cuore“
L’esperienza lituana, positiva ma…
La scorsa stagione Rok Stipcevic decide di mettere in stand-by la sua carriera in Italia per affrontare una breve parentesi in Lituania. Con il Lietuvos Rytas, il croato è stato protagonista della conquista della Coppa di Lituania. Ma su quale stile di vita preferisca, tra quello italiano e quello baltico, Rok non ha dubbi:
“In Lituania si gioca una pallacanestro fisica e, dunque, più lenta. Fuori dal campo la gente è più fredda, meno amichevole rispetto all’Italia. Poi le temperature non sono certo miti… Si vive, quindi, una vita completamente diversa. Io, comunque, mi sono trovato bene. Abbiamo raggiunto ottimi risultati sul campo. Dalla vittoria della Coppa di Lituania sullo Zalgiris, alla qualificazione alle Top8 di EuroCup. Poi, il palazzetto, da 15.000 posti, era quasi sempre pieno. E’ un’esperienza, quindi, sia di pallacanestro che di vita che reputo eccezionale. Se dovessi, però, scegliere preferisco come si vive in Italia. Dopo 8 anni ho assorbito le vostre abitudini, tanto che quando torno in Croazia i miei compagni di Nazionale e gli amici lo notano”
Rok Stipcevic e la Fortitudo
Rok la scorsa estate decide, quindi, di fare dietrofront. Ad attenderlo c’è una nuova esperienza italiana. Questa volta Stipcevic si accasa alla Fortitudo Bologna. Una piazza caldissima, fresca del ritorno in massima serie. Quest’anno la Effe sorprende tutti. Da neopromossa chiude sesta il girone d’andata, conquistando così l’accesso alle Final Eight di Coppa Italia. Si può, quindi, parlare di squadra rivelazione di questo campionato. Stipcevic trova, però, sbagliato questo appellativo. Il roster aveva, secondo lui, già in partenza tutte le carte in regola per giocare per obiettivi ambiziosi:
“Tutte le previsioni di inizio stagione ci vedevano tra il 12° e il 15° posto. Io, però, avendo parlato sia con il coach che con il presidente e notando il grande entusiasmo attorno alla squadra, pensavo già sul nascere che potessimo andare oltre i pronostici. Alla fine ho avuto ragione. Abbiamo chiuso come sesti nel girone d’andata e, secondo me, ci saremo tranquillamente qualificati per i play-off. Credo che questa squadra avesse ancora tante cose da mostrare”
Poi Stipcevic ammette di avere un grande rammarico:
“L’unica cosa che mi dispiace è di non essere riuscito a giocare il derby al PalaDozza davanti al nostro pubblico. E’ già stato bello giocare in casa della Virtus, ma lo sarebbe stato il triplo se lo avessimo fatto nel nostro palazzetto per i tifosi della Effe. Loro avrebbero reso il derby ancora più caldo. Sarebbe stato, dunque, uno spettacolo incredibile. Non ci sono parole per descrivere cosa significhi giocare per i tifosi della Fortitudo. Devi solo godere il momento ed essere consapevole che in Europa ce ne sono pochi così“
Rok Stipcevic, born for the game
E sul rendimento offerto nei primi mesi bolognesi, Stipcevic si esprime così:
“Sono arrivato in Fortitudo sapendo di essere affiancato a Fantinelli per farlo crescere. In più ero al corrente della presenza di tanti giocatori con punti nelle mani. Secondo me, la grandezza di un giocatore consiste nel saper gestire sé stesso per il bene del gruppo. Onestamente le statistiche non sono state quelle degli anni precedenti, però penso di aver fatto quello che serviva alla squadra e quello che mi chiedeva l’allenatore. Ciò non vuol dire che io mi sia trovato male a interpretare questo ruolo, anzi io per indole cerco sempre di mettere al primo posto la squadra. Sono convinto, però, che chi sa cosa voglia dire giocare a pallacanestro a questi livelli sappia bene chi sono e cosa possa dare. L’anno scorso, per esempio, in Lituania facevo molti più canestri, ma trovo ci siano vari tipi di Rok… Quest’anno serviva questo qua“. Poi aggiunge “La mia grinta non mancherà mai, perché io vivo di emozioni e per me la pallacanestro è tutto. Vivo 24/7 per questo sport e per la mia squadra”
Oggi Rok Stipcevic compie, dunque, 34 anni. Un’età in cui si può iniziare a riflettere su come si voglia indirizzare la propria vita una volta abbandonati i parquet e, magari, provare a fare un bilancio della propria carriera. Cosa più lontana possibile dalle sue idee. Rok Stipcevic ha ancora tanta fame:
“Non mi interessa al momento fare bilanci, ho ancora tanti traguardi da raggiungere. Le sensazioni che provi quando vinci non le paragono con niente. L’anno scorso ho sentito emozioni così forti da volerle rivivere in altre occasioni prima di smettere definitivamente. Voglio giocare, quindi, almeno per tre/quattro anni. Dopo mi vedo ancora nel mondo della pallacanestro, anche se già oggi sono impegnato parallelamente in altre cose. Mi piacerebbe rimanere nel basket come allenatore. Voglio pensare, però, step by step”
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