La Roma stacca la spina. In casa, nuovamente, al cospetto di una Spal ordinata e cinica. I giallorossi, dopo quattro vittorie consecutive, tornano dalla sosta delle Nazionali senza grinta: la stagione, a fine ottobre, è già compromessa.
“Cosa vuoi fare da grande?” Questa frase aleggiava beffarda al termine di ogni ciclo importante che, irrimediabilmente, aveva caratterizzato buona parte della nostra vita. Ogni studente ricorda, con annessi brividi sulla schiena, la difficoltà atavica nel rispondere a tale quesito posto da genitori, parenti, amici o professori. “Cosa voglio fare della mia vita? Bella domanda…” Fissatevi nella testa domanda e risposta perché ci servirà fra poco. Roma, 20 ottobre 2018: la Serie A riapre i battenti dopo lo stop forzato dovuto agli impegni delle Nazionali; allo stadio Olimpico in Roma, i padroni di casa guidati da mister Di Francesco ospitano la Spal di Semplici nella gara che, di fatto, sancisce il ritorno del massimo campionato di calcio italiano. Lo score ottenuto dalle due compagini prima della sosta è diametralmente opposto: i giallorossi vengono da quattro vittorie consecutive ottenute tra Serie A e Champions League mentre i ferraresi hanno inanellato un poker di sconfitte in successione dopo un avvio di stagione estremamente positivo.
Inizio di stagione negativo che, in virtù delle ultime affermazioni, sembrava volgere al positivo contro un avvio di campionato estremamente buono che, progressivamente, stava marcendo sotto allo scottante sole della massima serie. Roma-Spal (LEGGI LA CRONACA DI ROMA-SPAL), numeri e statistiche alla mano, era la gara perfetta per gonfiare il trend positivo dei capitolini ma, come spesso capita, la Roma non è riuscita a dare continuità alle buone prestazioni espresse prima della pausa. Era tempo di conferme, era il momento di raccogliere i frutti di una striscia positiva incoraggiante ma, soprattutto, era arrivata l’ora di dimostrare che le vecchie abitudini negative si erano dissolte con le vittorie ottenute contro Frosinone, Lazio, Viktoria Plzen e Empoli. La domanda, incipit di questo piccolo articolo, risulta martellante, ridondante e cinica in virtù di una risposta arida che, probabilmente, rimarrà fragile e senza senso: “Cosa vuoi fare da grande, Roma?” “Non lo so, bella domanda…”
Il quesito è il solito, la risposta anche. Quando si aspetta il salto perfetto, propedeutico al volo tanto atteso e sognato, la Roma si sgonfia e cade a picco: non arriva, come fece Icaro, nemmeno vicino al calore del sole. In quel caso, almeno, avremmo potuto addossare la colpa alle alte temperature sprigionate dall’astro che, beffardamente, potevano sciogliere le ali alla perfetta macchina romanista. Qui di perfetto, però, non c’è quasi nulla e le giustificazioni sono terminate da tempo. I giallorossi si dissolvono inaspettatamente senza un valido motivo cancellando le provviste invernali accumulate faticosamente nelle ultime quattro apparizioni. Quali sono le cause di questa inaspettata involuzione dei capitolini di Pallotta? Cerchiamo di analizzarle con assoluta calma…
POCA PERSONALITÀ?
È lampante, evidentemente: alla Roma manca maledettamente la personalità, attributo fondamentale per costruire campionati di altissimo livello e, successivamente, le vittorie. Perché a questa squadra manca la personalità? Le motivazioni possono generare una duplice risposta: l’allenatore non riesce ad imprimere carattere ai propri calciatori oppure il calciomercato estivo non ha portato in rosa questa skills fondamentale. La mancanza di personalità si è palesata con il suo ghigno peggiore contro la Spal, durante l’ennesima sconfitta casalinga dell’era Di Francesco: la Roma stava dominando il match contro gli estensi imbastendo trame interessanti, ispirate da un ottimo Lorenzo Pellegrini, che fatalmente non trovavano il determinante guizzo finale atto a sbloccare una superiorità territoriale quasi imbarazzante. Dopo una mezzora giocata bene, al 37′ Luca Pellegrini, ingenuamente, aggancia in area Lazzari generando il calcio di rigore: Petagna non sbaglia dagli undici metri, ferraresi avanti immeritatamente. La prima difficoltà scioglie completamente le basi e lo slancio dei romani che, magicamente, diventano remissivi, paurosi, involuti nel gioco, lunghi nei reparti ed insofferenti. Edin Dzeko sbuffa lamentandosi copiosamente con i compagni e la panchina, El Shaarawy tenta giocate fumose lasciando a casa la concretezza, Under naufraga nel mare d’incertezza, Cristante appare un lontano parente del centrocampista dinamico ammirato con l’Atalanta e la difesa torna in psicanalisi sbagliando scelte e posizionamenti.
Il momentaneo vantaggio degli ospiti taglia irrimediabilmente le gambe ai giallorossi che, orfani degli uomini più carismatici, non riescono ad uscire dall’inferno delle sabbie mobili di una situazione estremamente negativa. Orfani degli uomini più carismatici? Perché, chi non ha preso parte alla debacle capitolina di sabato pomeriggio? È presto detto: Kolarov, Manolas e De Rossi. Possibile che queste tre pedine spostino così tanto l’asticella della personalità? Evidentemente sì. L’assenza simultanea dei tre ha certamente contribuito alla sconfitta: Luca Pellegrini, Marcano e Cristante, per diverse ragioni, non sono riusciti ad imprimere la stessa grinta profusa dal trio assente dalla contesa: il giovanissimo terzino italiano era alla sua seconda apparizione da titolare con la maglia della Roma e, probabilmente, è il calciatore con meno colpe. Marcano e Cristante, però, che scusanti possono accampare? Nessuna. Il difensore spagnolo ha giocato ad alti livelli con il Porto mentre l’ex bergamasco è risultato il miglior centrocampista dell’ultima Serie A. Annate importanti, dunque, annichilite da un avvio stagionale da incubo.
La colpa, però, non può essere affibbiata soltanto ai calciatori: è vero, sono loro a scendere sul rettangolo verde di gioco recitando la parte dei protagonisti ma ogni nave che si rispetti deve essere egregiamente governata da un abile timoniere. Di Francesco, purtroppo per i numerosi tifosi romanisti accorsi allo stadio Olimpico, non è riuscito a trovare le giuste contromisure naufragando insieme alla squadra.
Un esempio lampante di tale confusione si può ricercare negli ultimi, deliranti, minuti di match: la Roma si è schierata con un 3-2-5 (Kluivert, Coric e Pastore sono entrati nella ripresa per dar manforte a Dzeko e El Shaarawy) che non ha portato alcun pericolo alla Spal rimasta in dieci per dubbia, diciamo anche imbarazzante, espulsione commissionata a Milinkovic-Savic (portiere estense fratello del centrocampista della Lazio) dal poco attento Pairetto. Le domande interdette che scaturiscono dall’ultima prova dei capitolini investono il mister ex Sassuolo come un fiume in piena: perché Pastore non è entrato prima nella contesa? Perché viene scelto Coric quando Zaniolo aveva debuttato a Madrid contro il Real? Come mai la squadra non riesce a costruire una misera azione da goal con cinque bocche da fuoco piazzate nei pressi dell’area avversaria? Luca Pellegrini, ammonito ed abbattuto dal fallo da rigore, ha rischiato almeno due volte il secondo cartellino giallo: come mai Santon non è entrato? Quesiti che, sicuramente, tormenteranno i tifosi romanisti fino alla gara europea contro il CSKA Mosca.
TANTI GIOVANI: POCO CARISMA E TANTA INESPERIENZA
Lo scotto da pagare era inevitabile, alla fine. La linea verde attuata dalla Roma in sede di calciomercato poteva (puntualmente successo) portare scompensi di inesperienza alla rosa dei capitolini. Calciomercato sbagliato da Monchi? No, non è questo il punto focale. Il dirigente spagnolo ha operato discretamente bene sul mercato (“discretamente” significa che qualche errore l’ha commesso, ndr) ma la mole di calciatori giovani acquisita dimezza fatalmente il carisma e l’esperienza ad una compagine che, pochi mesi fa, disputava una semifinale di Champions League contro il Liverpool. Parliamoci chiaro: per battere Spal, Chievo Verona, Bologna e Atalanta non servivano Alisson, Nainggolan e Strootman. Nemmeno Messi o Ronaldo. La difficoltà tecnico-tattica dei giallorossi è in grado di avviluppare nelle spire buie della desolazione anche calciatori affermati ed esperti, vedi Dzeko. Cosa può succedere, quindi, ai vari Coric, Pellegrini, Zaniolo, Kluivert e Under? Il miglior Messi, se ci pensate bene, esordiva nella macchina perfetta del Barcellona. Sabato pomeriggio nel tentativo estremo di pervenire ad un pari miracoloso, mister Di Francesco ha terminato la gara con moltissimi calciatori giovani in campo che, gettati nella mischia a partita compromessa, hanno tentato goffamente di imbastire trame offensive degne di nota senza una guida ferma che li accompagnasse nel loro peregrinare solitario in mezzo al terreno di gioco. Risultato? Il nulla o quasi.
Mentre Coric ha avuto pochissimo tempo per mettere in vetrina le sue assolute qualità, Kluivert e Luca Pellegrini hanno fallito l’appuntamento. Il giovane italiano è stato paragonato ai grandi del passato nelle ultime settimane e l’errore con la Spal potrebbe essere figlio di un’attenzione mediatica indesiderata e senza senso mentre il gioiellino olandese, anch’egli incensato al primo assist vincente, si è incaponito nel dribbling e contro-dribbling tentando, in solitudine, di risolvere la contesa da solo senza curarsi di un dettaglio assolutamente da non sottovalutare: il risultato era fissato sullo 0-2 per i ferraresi, si cercava concretezza e non futili numeri da circo. I giovani non possono salvare, senza un giusto indirizzamento, la stagione ad un’intera squadra: cercasi, disperatamente, grinta ed esperienza dagli uomini fulcro di questa società…
E LA PRESIDENZA?
Anche la società non è avulsa dal quesito che ha animato questo articolo: “Cosa vuoi fare da grande, Pallotta?” Che la vita imprenditoriale del magnate di Boston sia fiorente e costellata di successi, è un fatto risaputo da tutti. Come procede, invece, l’esistenza da Presidente di un club di calcio? Ecco: la parola “successo”, ahimè, non descrive esattamente il percorso di Pallotta da numero uno della Roma. Il continuo rinnovamento della rosa a fronte di offerte irrinunciabili ha certamente destabilizzato il lavoro dei tecnici che, negli anni, hanno abitato la panchina dei giallorossi. Aspettando lo stadio, la maggior entrata della società romana è da ricercare sotto la voce “Compravendita di tesserati” nonostante l’ampliamento positivo del brand Roma. Dopo anni di dirigenza americana, i giallorossi si sono accontentati di piazzamenti senza sollevare nessun trofeo al cielo. Colpa grave, non gravissima: la storia dei romanisti non vive di numerosi successi ma l’impazienza dei tifosi, nell’ultimo periodo, ha toccato vette vertiginose. Che sia una Coppa Italia oppure la Champions League, il romanista vuole tornare in piazza a gioire per la vincita di un trofeo. Opinabile, magari ma è un dettaglio che Mr. Pallotta non deve ignorare…
Insomma: modificate il soggetto della frase ma la sostanza non cambierà di una virgola. Calciatori, allenatore o dirigenza dovranno capire, finché sono in tempo, cosa vogliono fare da grandi per contribuire, tutti insieme, ai successi futuri di una Roma che, allo stato attuale, appare come un adolescente indeciso che si perde sulle domande esistenziali della vita. “Cosa vuoi fare da grande, Roma?” “Diventare una squadra in grado di affermarsi a livello italiano ed europeo!” Attendiamo, dopo fanciullesche parole, il riscontro dei fatti…
ANDREA MARI
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