Ronaldinho, la magia di un fenomeno immortale

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Di Redazione Metropolitan

Un ragazzino dalla carnagione scura, la capigliatura crespa e gli incisivi sporgenti, cresciuto, come tanti altri, ai confini del mondo, tra le strade disastrate di una favela brasiliana dimenticata da Dio. Un sorriso, sempiterno e contagioso, stampato sulla faccia, anche quando un dribbling non riusciva. Forse non è un caso, dopotutto, che Ronaldinho sia originario di una città dal suggestivo nome di Porto Alegre. Un‘allegria che non solo lo ha contraddistinto nel carattere, ma soprattutto nello stile di gioco.

Ronaldinho, il re del futbol bailado

Un calcio, il suo, delicato ed armonioso come un’aria di Johann Sebastian Bach; elegante ed incantevole come un il volo di un airone; estasiante ed immortale come il bacio tra Clarke Gable e Vivien Leigh. Ronaldinho è stata un’autentica officina del fantastico, capace di creare coi propri piedi capolavori di irriproducibile bellezza, allo stesso modo in cui Willy Wonka sfornava dolciumi di straordinaria delizia dalla sua Fabbrica di Cioccolato.

La qualità di un fuoriclasse, il talento di un prodigio, la destrezza di un giocoliere, la fantasia di un bambino. La perfetta fusione tra imprevedibilità e geometria, dalla cui amalgama ha preso forma quello che è stato a tutti gli effetti l’araldo solenne del futbol bailado. Con i suoi tocchi, morbidi e sublimi, Ronaldinho ha ammaliato, folle ed avversari, come nessun altro. Lui, artista dell’utopico, ha saputo dare contorni e colori a prestazioni impossibili, trasformando il pallone in pennello e tavolozza, rendendo un semplice campo di terra e fango la sua personalissima tela dove disegnare il proprio insaziabile estro.

Il palmarès, le prodezze ed il ritiro

Una Champions League, vinta con il Barcellona nel 2006, un Mondiale, nel 2002 con il Brasile, un Pallone d’Oro, conquistato nel 2005, insieme ad altri tantissimi trofei collezionati nell’arco di un’incredibile carriera durata un ventennio. Ronaldinho è stato la storica doppietta contro il Real Madrid nella notte del Clasico del 2005, quando tutto il Santiago Bernabeu si alzò ad applaudirlo. È stato il geniale ed assurdo colpo di punta, che trafisse il Chelsea in Europa agli ottavi del 2005. È stato l’allucinante acrobazia in girata contro l’Osasuna nel 2004. Ronaldinho è stato magia e naturalezza allo stato più puro.

Nel Gennaio del 2018 la sua danza però si ferma, il sipario cala inesorabile sulla sua polvere di stelle. Il Gaucho brasiliano decide che è arrivato il momento di scendere da cavallo, di sfilarsi il poncho ed accomiatarsi, ritirandosi dalla scena. Non è stata soltanto la fine di un calciatore, ma la fine di un particolare tipo di calcio. Quel calcio che fluttua silenzioso tra la serietà del professionismo e la semplicità del divertirsi, quello che Ronaldinho ha per sempre fatto suo, con la sua inconfondibile espressione di spensieratezza appiccicata in volto.

MARCO TARTAGLIONE

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