Secondo le ultime notizie direttamente dalla Russia, Putin starebbe mandando a morire le minoranze etniche, evitando così di arruolare i giovani delle grandi città perché teme le proteste delle famiglie.
Chi scende a combattere
Vladimir Putin ha sempre voluto paragonare sé stesso all’immagine di Pietro il Grande, perseguendo la volontà di un suo personale grande impero. La guerra che lui stesso ha avviato mesi fa era concepita, non solo dal capo di stato ma anche dal Cremlino tutto, come la lotta di una ristretta cerchia di uomini bianchi che combattono fino alla morte per la realizzazione del sogno comune della rinascita del grande impero slavo con le sue antiche regioni europee. Tutto relativamente bello finché detto a parole. Il sangue ucraino però non si mischia a quello degli uomini che chiedono la guerra, bensì a quello di giovani ragazzi appartenenti a diverse minoranze etniche e per i quali quindi il gioco sembra valere la candela.
Secondo quanto riportato delle fonti e dalle immagini scattate direttamente sul campo, l’esercito russo risulta composto principalmente da musulmani dell’Ossezia del Nord o del Daghestan, ma anche da buddisti tibetani della Buriazia o della Repubblica di Tuva. Altri gruppi di combattenti sono invece composti da soldati arruolati da province sperdute dell’Estremo Oriente non lontane dai confini con Cina e Corea del Nord. Putin non rischia la vita dei suoi soldati in nome del suo sogno. Sceglie, e costringe a scendere in campo, giovani fuori da Mosca e San Pietroburgo, non arruolati e dunque centinaia di volte più a rischio sul campo di battaglia. Un dato spaventoso che incarna l’esempio concreto perfetto riguarda la popolazione dei buriati, che ora sono allo 0,3% della popolazione complessiva contando però il 4,5% dei morti nelle prime settimane di combattimenti.
Il valore dei soldati in Russia
Ancora una volta, con queste decisioni, Putin si mostra il perfetto dittatore bigotto che non rischia i suoi simili per vincere la sua. guerra. A pagare il prezzo delle sue azioni non sono i russi slavi, bianchi originari delle grandi città europee; sono coloro che abitano le province meno sviluppate, sono le minoranze che devono morire per il sogno del loro dittatore. Sia che loro muoiano in guerra o condannati perché giudicati oppositori del governo rifiutando la guerra, la loro vita non conta. Non si tratta di non valere abbastanza, si tratta di non valere nulla, di non essere considerati come esseri umani ma come numeri il cui peso non regge il confronto con la possibilità di concretizzare un’utopia.
La vita dei soldati provenienti da minoranze etniche è talmente trascurabile per il regime Putin che non fa nemmeno parte dei conteggi pubblicati dallo Stato. A tenere il conto dei morti anche per origine etnica è al momento solo un’organizzazione, riconosciuta clandestina in quanto si oppone al lavoro del governo. A gestirla è la 40enne originaria della Buriazia Maria Vyushkova. Espatriata dalla Russia nel 2010, Vyushkova è ora una ricercatrice di calcolo quantistico al centro di ricerca computazionale di Notre Dame a Silicon Valley. La donna gestisce dall’inizio della guerra una banca dati creata con lo scopo di smontare la propaganda di menzogne portata avanti dal Cremlino. “Non avrei mai immaginato di trovarmi in un ruolo simile. Siamo la sola organizzazione che conta i caduti anche per origine etnica”. Il suo lavoro fa affidamento su centinaia di collaboratori distribuiti su larga scala all’interno del territorio russo. Per una questione di sicurezza a ciascuno di loro è concesso conoscere solo pochissimi altri, così un arresto o un tradimento non rischiano di compromettere l’intera struttura. Il loro lavoro è principalmente quello di sorvegliare i giornali locali per annunci mortuari e necrologi, i social media russi, le chat di Telegram in cui si parla di conoscenti caduti in guerra. Solo attraverso questi canali l’organizzazione ha individuato circa 4 mila morti non contati dai bilanci russi, divisi per etnia e regioni.
Chiaramente non è un sistema perfetto in quanto ci sono anche soldati che muoiono senza che qualcuno parli di loro in nessuno dei canali citati o anche in assoluto. Per questo motivo i membri dell’organizzazione fanno quando possibile visita nei cimiteri, dove contano le tombe fresche con la foto di un ragazzo in uniforme sopra. Attraverso questo ulteriore canale è stato possibile individuare altri 4mila caduti non dichiarati. A questi vanno poi aggiunti tutti i dispersi, che spesso sono in realtà morti taciute. Si arriva così ad un conteggio complessivo di circa 15mila morti in guerra.
Ginevra Mattei
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