Il teatro di Samuel Beckett si pone come ironico quanto cruciale interrogativo sull’esistenza umana, sulla vaquità dell’uomo e del simbolo dinanzi alla disgregazione di ogni coordinata spazio-temporale.

Rièn a faire.

Prologo che si fa epigrafe nella nebbia salmastra dell’inaccadimento.

https://www.irishtimes.com/culture/books/no-wb-yeats-no-samuel-beckett-fintan-o-toole-on-why-we-mustn-t-forget-the-poet-s-plays-1.2241559 (PHOTO CREDITS: ANSA.IT)

Assistiamo all’infarto del tempo, allo stramazzo della circostanza, all’agonia stremante dell’attesa.

Ed ecco la morte di κρονος ; ha privato il simbolo del suo simboleggiare cedendo il passo all’antisillogismo, all’antinarrazione.

Nel mezzo, due sagome.

Le vediamo perdersi, annaspare ed esanimi, scrollare il volto dinanzi al senso tragico del proprio smarrimento.

Il candore di Vladimiro, il dubbio di Estragone.

Aspettano qualcosa, un signore, un fantasma. Un Godot che forse non esiste.

http://www.artspecialday.com/9art/2017/06/10/i-grandi-classici-aspettando-godot/ (PHOTO CREDITS: ANSA.IT)

Il timbro delle voci si dipana nel nulla, s’innalza, si fa stridulo, s’illude di sopprimere la morsa tenace d’un vuoto.

L’altrove è congelato, il tempo ormai disgregato.

Nel sadico oscillare tra humour e nèant, ci sembra d’udire il leggero sogghigno dell’autore.

Un urto comico quello di Samuel Beckett che a partire dal 1952 sembra prendersi gioco del dramma, sfilacciare i labili contorni del tragico.

Al Thèatre de Babylone il pubblico sconcertato prende parte alla prima di “Aspettando Godot”, tragicommedia in due atti, ring composition senza svolgimento.

Vano è il tentativo di decifrarne i tratti, di sviscerarne la logica intrinseca o le aeree allusioni.

Vana è la ricerca, vana l’interpretazione di fronte alla vacuità  fatiscente, alla desolazione, all’incongruenza.

http://www.ansa.it/sicilia/notizie/2018/04/05/teatro-aspettando-godot-di-beckett-al-biondo-di-palermo_ad881f0c-4f11-44c9-bb88-d75351bc954e.html (PHOTO CREDITS: ANSA.IT)

Nel subbuglio dell’inespressione tutto si fa dunque larva; anche il linguaggio appare brutalmente disossato, contratto, ridotto ad esile mezzo per sfuggire al silenzio.

Immaginiamo una platea disorientata poiché privata d’ogni appiglio, sguardi corrucciati, menti sviscerate d’ogni parametro.

La scenografia scarificata rimanda forse all’aperta campagna; ne intravediamo gli spettri fitomorfi, figurazioni incerte di alberi spogli, eppure di nulla possiamo esser certi.

Protesi ad un futuro informe cerchiamo stratagemmi e feritoie per sfuggire alla dilatazione sanguigna ma solo nella tenebra riusciamo a collocare noi stessi.

Ogni tanto un allarme fittizio, un’allucinazione.

Alla pari dei due mendicanti, elemosiniamo risposte, ci crogioliamo nell’illusione che il passaggio di Pozzo o l’arrivo di Lucky ci restituiscano le coordinate perdute.

Sono solo passanti.

Ancora tratteniamo il fiato e attendiamo lo spasmo all’aprirsi del secondo atto.

https://www.wikiart.org/en/avigdor-arikha/samuel-beckett-in-profile-1970 (PHOTO CREDITS: ANSA.IT)

Decisi a non arrenderci tentiamo di dar voce al nostro spirito postulante; ci inalberiamo in nuove domande, reinventiamo orologi e stratagemmi.

Nessun ticchettio.

Nessun orologio.

 Ancora non sappiamo che mai ci districheremo dalla fanghiglia dell’identico.

Rièn a faire.

Giorgia Leuratti