San Martino una fra le più note poesie di Giosuè Carducci, pubblicata nel 1883 e contenuta nella raccolta Rime nuove del 1887. Nello spazio dedicato alla Letteratura per l’Infanzia, un componimento noto a molti bambini di oggi, e di ieri, in riferimento all’11 novembre; giorno in cui si festeggia San Martino, ricorrenza nota per la celebrazione della maturazione del vino nuovo.
San Martino: contrapposizione fra l’intimistico borgo e la natura
Una tipica atmosfera autunnale: la poesia in questione introduce un usuale scenario novembrino in cui la nebbia risale gli ispidi colli e, dissolvendosi nell’aria, lascia il posto ad un flebile lamicare di pioggia. Il maestrale, freddo e pungente, risospinge il mare in burrasca che si infrange sulla scogliera; è un paesaggio naturale, all’apparenza malinconico e distruttivo, quello che accoglie il lettore nella prima strofa di Carducci.
Tuttavia, sullo sfondo, l’allegria di una festa di paese: contrasto netto con la natura, quasi devastante, descritta nei primi versi. Il borgo è inebriato dagli olezzi del vino e della recente vendemmia autunnale. Giosuè Carducci ricrea, quindi, un’antitesi fra un mondo intimo, chiuso e protetto dentro il borgo, e la realtà esterna: il grigio della nebbia, la natura malinconica e la sua potenza distruttiva. E’ interessante notare come la poetica carducciana ispirò Gabriele D’Annunzio e lo stesso Giovanni Pascoli, successivamente, suo allievo: pare infatti che la poesia Novembre di Pascoli, originariamente, fosse intitolata proprio San Martino come il componimento omonimo del Carducci.
San Martino: scenari domestici, inquietudine e contrasti
Per le vie del paese si propaga l’odore del mosto, allietando l’umore dei paesani. Un contesto prettamente intimistico irrompe nella terza strofa: i ceppi bruciano nel focolare simbolo, sin dall’antica Grecia, di scenario domestico. Il cacciatore, intanto, fischietta sull’uscio mirando gli stormi di uccelli neri librarsi per l’aria, in contrasto con il rosseggiare delle nubi proprie dell’imbrunire. Il tramonto rimirato dal cacciatore, è l’elemento naturale malinconico per eccellenza; gli uccelli sono, invece, un’allegoria indicante un presagio di morte insieme al giorno che fugge via ed all’idea della notte che avanza impetuosa.
Il colore nero dello stormo – in netto contrasto con il rosseggiare delle nubi – è un chiaro riferimento all’oscurità di alcuni cupi pensieri. E’ resa, in questi ultimi versi, la vacuità della vita: l’allontanamento dello stormo che si fonde con le nuvole fa balzare alla memoria del poeta, un cumulo di pensieri probabilmente negativi, ormai vani e remoti; come gli uccelli, anche questo continuo rimuginio vola via nel crepuscolo.
Una poesia in tre colori: il bianco, il nero, il rosso
Il biancheggiare del mare lontano, il contrasto fra il clima gioioso della festa e l’inquietudine della natura: la nebbia che risale e si dissolve avvolgendo la realtà come un naturale Velo di Maya. Un simbolo lacunoso che indica poca chiarezza sugli effettivi desideri dell’esistenza finché si giunge all’atmosfera festosa del paese. La natura è ormai lontana e il familiare odore del vino è sinonimo di serenità. Il vino nelle botti, lo scoppiettare dei ceppi che si contrappongono alla furia ventosa che agita il mare e le umane esistenze, sono evidenti suoni pace.
Al termine del percorso in salita dell’esistenza umana, ci si aspetta una consolazione intima e familiare. Ci si lascia alle spalle lo scalpitare delle onde e il soffiare dei venti. Una pace che non è solo negli odori ma anche nei suoni e nelle immagini: il fischiettare del cacciatore che guarda il nero stormo sparire nel rosseggiare dei nembi. Foschi pensieri che assalgono l’uomo sì, ma all’interno del suo scenario domestico. Tuttavia una pace labile: si percepisce ancora il rumoreggiare del mare, in basso, e il tramonto è comunque lo scenario che precede le tenebre.
Stella Grillo
Seguici su Google News