Minaccia di far saltare ben 3000 appelli da nord a sud lo sciopero degli accademici italiani previsto dal 28 agosto al 31 ottobre.

Come ogni anno, l’autunno è sempre il periodo caldo delle contestazioni riguardanti la scuola e l’università. La differenza, rispetto agli anni scorsi, sta nel fatto che stavolta lo sciopero non riguarderà gli studenti, bensì 5000 docenti universitari italiani che hanno aderito alla protesta.

Oggetto del contendere è il blocco degli scatti stipendiali riguardante il quinquennio 2011 – 2015, durante il quale gli stipendi dei docenti universitari non hanno avuto alcuna progressione.

I docenti chiedono, per fermare lo sciopero, che lo sblocco degli scatti venga calcolato a partire dal 2015 (e non dal 2016, come deciso a Roma), mentre riguardo al quadriennio 2011 – 2014 si chiede che questo venga comunque conteggiato (anche se non pagato) ai fini pensionistici.

Questa protesta parte da lontano: la prima lettera degli accademici italiani, indirizzata al presidente del Consiglio, risale al 2014, a cui ne sono seguite una nel 2015 al presidente della Repubblica e altre due nel 2016 nuovamente al presidente del Consiglio. Non avendo ricevuto risposte soddisfacenti, i professori hanno optato per lo sciopero.

Coordinatore della protesta è il professor Carlo Vincenzo Ferraro, del Politecnico di Torino.

Nel documento con cui viene proclamato lo sciopero, i docenti spiegano anche come questo avverrà. In pratica, il primo appello programmato della sessione autunnale non avrà luogo, e slitterà alla data successiva.

Se, invece, la sessione prevede un unico appello per la materia del docente che aderirà allo sciopero, sarà il docente stesso a chiedere all’ateneo di riprogrammarlo nei 14 giorni successivi. 

I docenti garantiscono comunque che sarà disponibile almeno un appello nelle date tra il 28 agosto e il 31 ottobre. Come si può leggere nel documento, “Riteniamo che tali modalità conflittuali e di parziale astensione dalle prestazioni istituzionali siano nel contempo rispettose del diritto di sciopero garantito costituzionalmente e del diritto degli utenti di avere servizi ridotti ma non annullati”.

Ma la domanda che ci poniamo noi è un’altra: e se l’università, per un qualsiasi motivo, non riuscisse a garantire il corretto svolgimento della sessione autunnale (con il riposizionamento degli appelli, o in altri modi), che ne sarà degli studenti a cui manca quell’unico appello per potersi laureare, o su cui magari stanno studiando a testa bassa da mesi? 

A loro, che pagano tasse sempre più alte di anno in anno, qualcuno ci ha pensato? Non hanno forse anche loro il diritto ad avere una sessione autunnale che si svolga nella maniera più corretta? O, come sempre accade, le ragioni della parte più debole verranno accantonate perché ritenute ininfluenti?

Lorenzo Spizzirri