Creò nel 1992 il famoso “pool” composto da Di Pietro, Colombo, Davigo, Boccassini e Greco, guidandoli nella instancabile maxi-inchiesta che segnò la fine della Prima Repubblica. La camera ardente sarà aperta lunedì alle 9.30 presso il Palazzo di Giustizia

Si è spento oggi presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano all’età di 89 anni, Francesco Saverio Borrelli, ex procuratore generale e magistrato per oltre 40 anni.

Dopo circa due settimane di ricovero presso la struttura, lo storico “capo delle toghe rosse” ha lasciato i propri familiari e un sentito vuoto nella storia della cultura giuridica italiana, legando per sempre il suo nome ad una delle vicende politico-giudiziarie più drammatiche del nostro Paese.

A seguito dell’arresto di Mario Chiesa, avvenuto nel febbraio del 1992, avviò in veste di procuratore capo il ciclo di inchieste passato agli annali sotto il nome di “Mani Pulite”, creando una squadra di giovani magistrati (Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Ilda Boccassini, Tiziana Parenti, Armando Spataro e Francesco Greco) che nella prima metà degli anni 90 portarono alla luce lo spaventoso sistema di intrecci e condotte fraudolente che ancora oggi legano il mondo della politica a quello dell’imprenditoria.

Dal 1955 alla pensione, senza smettere mai di “resistere, resistere, resistere”.

Nato a Napoli il 12 aprile 1930, figlio e nipote di magistrati, vinse nel 1955 il concorso come giudice civile a Milano, passando poi in sede penale presiedendo sezioni di tribunale e di Corte d’Assise, distinguendosi tra i fondatori (negli anni 60) della cosiddetta corrente di Magistratura Democratica, fino a divenire procuratore della Repubblica nel 1988 in successione a Mauro Gresti.

Il caso Tangentopoli trasforma Borrelli in una vera e propria icona della strenua lotta contro la corruzione, puntando il dito contro figure di spicco del panorama politico-imprenditoriale come Bettino Craxi (al quale inviò il primo avviso di garanzia), Arnaldo Forlani, Cesare Previti, e suscitando forti polemiche a seguito delle parole pronunciate nel 1993 nei confronti dei candidati alle successive elezioni politiche (in primis, Silvio Berlusconi): “Se hanno scheletri nell’armadio, li tirino fuori prima che li troviamo noi”

Il risultato della vicenda portò all’esecuzione 25400 avvisi di garanzia, 4525 arresti, 3200 richieste di rinvio a giudizio, 1254 condanne, 910 assoluzioni, un debito pubblico che girava intorno ai 250000 miliardi di lire.

Non senza conseguenze per il “pool”, che in più occasioni si vide messo in discussione (a cominciare dal famoso decreto “salva ladri” Biondi del 1994), attraverso soprattutto una serie di denunce, minacce e una manipolazione mediatica spietata (attraverso tv e giornali), che colpirono in particolar modo Borrelli, Di Pietro e Davigo.

striscione pro-Borrelli (fonte corriere.it)

Forza Italia, Alleanza Nazionale, Lega Nord e Falange Armata: questi i gruppi politici che maggiormente mossero intimidazioni (favoriti spesso dai rapporti diretti con la mafia) nei confronti dei magistrati, consegnando di fatto l’intera vicenda ad una “critica storiografica” tutt’ora in corso.

Saverio Borrelli non smise mai effettivamente di fare la sua parte all’interno del sistema giuridico italiano, portando avanti una stagione professionale che nel 2006 lo vide in prima linea come capo dell’ufficio indagini della Figc, nello scandalo noto all’opinione pubblica con il nome di “Calciopoli”.

“Ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo, estremo baluardo della questione morale, è dovere della collettività resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea del Piave”. Questo il grido di battaglia che Borrelli pronunciò il 12 gennaio del 2002 presso la Corte d’appello milanese, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.