È sempre più scontro aperto sul tema dei migranti tra l’Italia e altri paesi come Austria e Ungheria.
La polemica sui migranti si arricchisce di un ulteriore capitolo. Ieri, in un’intervista alla radio pubblica Mr, il premier ungherese Orban ha suggerito al Presidente del Consiglio Gentiloni di “chiudere i porti”, per fermare gli sbarchi sulle nostre coste.
Dichiarazioni che seguono a ruota quelle del ministro degli esteri austriaco Kurz, che due giorni fa intimava all’Italia (non si sa in base a quale diritto) di smettere di traghettare i migranti dalle isole come Lampedusa alla terraferma.
Parole, quelle del ministro austriaco, degne del miglior gerarca nazista. Hitler sarebbe talmente fiero di lui (se fosse ancora vivo) da sceglierlo come proprio delfino, ne siamo certi.
Orban, che guida la fronda dei paesi orientali contro Bruxelles (oltre all’Ungheria, troviamo infatti Polonia, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca), non è da meno. Nell’intervista suddetta agita ancora lo spettro del terrorismo legato all’immigrazione. Secondo i quattro leader di questi paesi il problema dovrebbe essere risolto in Libia, identificando già prima della partenza chi avrebbe diritto alla protezione internazionale.
A chi gli ha fatto notare che in Libia non vi è un governo stabile con cui poter collaborare sulla questione migranti, Orban ha risposto che bisognerebbe prendere in considerazione l’opzione militare. Una bella guerra coloniale e passa la paura.
La risposta a questa patetica accozzaglia di nazionalismo in salsa magiara, fascismo e stupidità è arrivata a stretto giro di posta dall’Italia per bocca del premier Gentiloni.
«Dai nostri vicini, dai Paesi che condividono il progetto europeo abbiamo diritto di pretendere solidarietà. Non accettiamo lezioni né parole minacciose. Serenamente ci limitiamo a dire che noi facciamo il nostro dovere e pretendiamo che l’Europa faccia il proprio senza darci improbabili lezioni».
Ma è proprio l’Europa in questo momento ad essere latitante. Nessuno si è premurato di rispondere a tono ad Orban, né – tantomeno – qualcuno ha fatto notare a Kurz che la costruzione europea si basa sulla solidarietà e sui diritti umani. I carri armati, le frontiere chiuse ed altre amenità del genere appartengono al passato.
Ma, a chi rimpiange quel passato, anziché blandirlo Bruxelles dovrebbe avere il coraggio di indicare la porta di uscita. Certi principi non sono e non possono essere negoziabili, in nessun caso. Men che meno nel 2017.
Lorenzo Spizzirri