Sono stati realizzati tanti film decisi a farci comprendere cosa significa lottare per i diritti di un popolo. Pensiamo solo alla produzione statunitense degli ultimi dieci anni, predisposta a ricordare tutte le battaglie per l’emancipazione razziale che solo apparentemente si può dire vinta arrivati a oggi. Ecco quindi “Selma” di Ava DuVernay, film deciso a non farci dimenticare una delle tappe fondamentali della storia americana.
Un Sogno
Sono certo che siano in pochi a non conoscere anche solo vagamente la figura di Martin Luther King Jr. e il suo ruolo di leader nel movimento per i diritti civili degli afroamericani. Paladino degli emarginati e agguerrito sostenitore della resistenza non violenta, il dottor King è una figura diventata simbolo della giustizia in difesa degli oppressi.
L’evento che ha consegnato Martin Luther King alla storia (escludendo la sua tragica morte) furono le coraggiose marce di protesta del 1965, avvenute nel percorso tra Selma e Montgomery e che segnarono la storia del movimento per i diritti civili. Ed è proprio questo il soggetto su cui si basa il film della DuVernay. Un prodotto potente e diretto con passione ma si può definire “necessario”?
Arrabbiati ma vivi
Bisogna dare atto alla regista e allo sceneggiatore Paul Webb di una cosa: “Selma” non va per il sottile. Il film espone in tutta la sua brutalità e violenza uno scontro che, prima di essere fisico, è principalmente ideologico. E lo fa mostrando i lati contraddittori di entrambi i “fronti”, privilegiando ovviamente quello del dottor King (David Oyelowo) rispetto a quello dei “bianchi” razzisti e carichi d’odio personificati principalmente dal governatore George Wallace (Tim Roth).
Eppure “Selma” non cede al tipico eccesso di retorica ed enfasi che caratterizzano film di questo genere. Certo ci sono Wallace e J. Edgar Hoover (Dylan Baker) ritratti in modo prettamente negativo (il che non è poi del tutto sbagliato ma qualche sfumatura in più non avrebbe guastato) ma sorprende vedere il modo in cui vengono descritti sia il Presidente Lyndon Johnson (Tom Wilkinson), meno “tonto” rispetto ad altre rappresentazioni cinematografiche, che lo stesso King, carismatico e appassionato leader che possiede i difetti tipici degli esseri umani.
Tutto ciò rende “Selma” un film decisamente più interessante della norma poiché mostra i molteplici punti di vista di uno degli eventi più indelebili degli anni ‘60 americani.
Come accennato prima, non lo fa attraverso un affresco particolarmente sfumato e di per sé originale ma piuttosto con il mestiere della regista e la potenza che un fatto storico come questo può esercitare presso il pubblico odierno.
Nessuno può nascondersi
“Selma” è il film definitivo su Martin Luther King? No. È uno dei migliori film di denuncia sociale degli ultimi dieci anni? Forse no. Si può definire un film “necessario”? Secondo me, sì.
Forse i tempi sono davvero cambiati dai tempi del dottor King o forse no. Comunque sia, i diritti e i valori per cui lottava rimangono ancora oggi le fondamenta per una società civile. È un bene quindi che “Selma” ci ricordi quali sono e lo fa attraverso un racconto duro ed esplicito ma convinto nella sua tesi e deciso a non dimenticare ciò che è avvenuto quel giorno a Selma e pochi anni dopo a Memphis. Forse perché sono eventi che possono ancora ripetersi. Nel Bene e nel Male.
Ti è piaciuto il nostro articolo? Seguici su MMI e sul Cinema di Metropolitan.