Shutter Island, per la regia di Martin Scorsese, si presenta al pubblico come un thriller psicologico. Tratto dal romanzo L’isola della paura di Dennis Lehane, il film riprende stile, ambientazione e atmosfera del genere noir in voga negli anni ’40 e ’50. Un omaggio contemporaneo all’arte della suspense dei grandi maestri del cinema classico. Claustrofobico, inquietante e proprio per questo affascinante, Shutter Island approfondisce gli stereotipi del filone noir collegandoli a meccanismi psicologici che risultano ancora oggi intricati e destabilizzanti.
Ci troviamo nel 1954, gli agenti federali Edward Daniels (Leonardo DiCaprio) e Chuck Aul (Mark Ruffalo) arrivano tramite nave presso l’isola in cui ha sede l’ospedale psichiatrico di Ashecliff. Qui devono indagare sulla scomparsa di una paziente, Rachel Solando. Durante l’indagine, Edward si scontrerà spesso con il primario dell’ospedale, John Cawley (Ben Kingsley), che secondo il detective potrebbe nascondere qualcosa. Più Edward Daniels si addentrerà nel caso più questo si deformerà tra reale e onirico, tra segreti e complotti, meccanismi di difesa e traumi passati.
Niente è come sembra
Shutter Island inizia come un thriller poliziesco, ma ad ogni indizio sembra degenerare sempre di più verso il surreale, giocando con le convinzioni dello spettatore, alterando il confine tra realtà e illusione. Ad un occhio attento è intuibile già dalle prime scene che quello che stiamo guardando non è la storia completa. Mancano dei pezzi, quegli stessi pezzi che potrebbero dare un motivo logico a comportamenti e discorsi di alcuni personaggi durante tutto il film.
Scorsese dissemina gli indizi, non troppi e molto criptici, tra inquadrature, espressioni, pause e musiche. Le allucinazioni e le emicranie di Edward, il suo partner Chuck che sembra più appoggiarlo e sorvegliarlo che partecipare attivamente alle indagini. L’enigmatico dottor Cawley fornisce allo spettatore un importante indizio quando spiega a Edward i metodi utilizzati per curare i pazienti. E l’ambientazione, un’inquietante tanto quanto claustrofobica isola minacciata da una tempesta, è la rappresentazione del cuore del film. L’isola in cui la mente sottoposta a traumi si rinchiude, manicomio e prigione.
Le fratture della psiche
Emicranie e allucinazioni mettono alla prova fin dall’inizio il protagonista. Prima di essere un agente federale, Edward Daniels aveva prestato servizio durante la Seconda Guerra Mondiale e aveva preso parte alla liberazione del campo di concentramento di Dachau. Teatro di orrori e di un numero di morti inimmaginabile, Edward torna a casa ferito nella psiche, traumatizzato dagli orrori di quel campo di concentramento e della guerra, che lui stesso ammette essere puro omicidio. Si rifugia nell’alcool, nel lavoro, inizia a trascurare la moglie. La sua è sindrome da stress post-traumatico e non gli permette di vedere che anche la moglie Dolores ha una ferita mentale maniaco-depressiva.
Durante le allucinazioni, prima durante il sonno poi anche in stato di veglia, Dolores incita Edward a trovare il colpevole della sua morte, Andrew Laeddis, spingendo l’uomo a fare domande a riguardo durante le sue indagini. Laeddis diventa sempre più un fantasma per Edward, il ricordo frammentato della morte della moglie lo tormenta, insieme a quello di una bambina che lo taccia di non averla salvata. Ma quando sembra avvicinarsi alla risoluzione dell’enigma di Laeddis, Dolores inizia a consigliargli di andare via dall’isola, dicendogli che in caso contrario essa diventerà la sua fine.
La regola dei quattro e il paziente 67
È solo negli ultimi minuti che la storia dentro la storia si rivela agli occhi dello spettatore, così come a quelli di Edward. Il biglietto che il detective ritrova nella camera di Rachel Solando è la chiave per risolvere l’enigma, per concludere il gioco: la regola dei quattro, chi è il 67? Durante il film il dottor Cawley dichiara un totale di sessantasei pazienti nell’ala dell’ospedale dedicata ai casi pericolosi, eppure Edward ha indizi di un sessantasettesimo paziente, un paziente fantasma, colui che ha ucciso la moglie.
Edward cerca continuamente di anestetizzare i traumi che lo rincorrono. Fino all’ultimo non riesce a vedere i fatti nella loro interezza, non riesce a distinguere i volti reali dai volti dissociati. Si ritrova perseguitato nel sonno e nella veglia non solo da Dolores, ma anche da Rachel Solando, che ha ucciso i figli in un momento di psicosi, e dall’introvabile paziente Laeddis, assassino di sua moglie.
È meglio vivere da mostro o morire da uomo per bene?
Il protagonista, un Leonardo DiCaprio perfettamente calato nella tragicità del ruolo, ci lascia con questo interrogativo: è meglio vivere da mostro o morire da uomo per bene? Al che lo spettatore non può fare a meno di domandarsi chi sia in quel momento a parlare. Potrebbe essere un folle tanto quanto un uomo lucido per la prima volta da tempo. La linea della follia è sottile, soggettiva. Quelle potrebbero essere le ultime parole folli di un uomo lucido che vuole farsi passare da folle per porre fine alla follia della sua realtà. Edward, consapevole finalmente della totalità del suo passato, non vede altra fuga dall’isola della sua mente che quella di andare incontro al suo pentimento.
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