Smottamenti in Giappone

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Di Redazione Metropolitan

In Giappone fanno più morti e più danni (specialmente per le frane) eventi sismici a Magnitudo non troppo alta di quanti ne abbia fatti, tsunami a parte, il grande terremoto del 2001, uno dei più forti registrati da quando esiste la moderna sismologia.

Eppure si tratta di terremoti che non hanno neanche raggiunto una M di 7, il che li fa essere 1000 volte più deboli di quell’evento spaventoso (tra un grado e l’altro di Magnitudo l’energia sprigionata aumenta di oltre 30 volte, per cui un M 6 è 30 volte più potente di un M 5). Molti ricordano i danni del terremoto M 6.9 di Kobe del 1995, mentre diversi morti e danni hanno fatto i 3 terremoti con M>6 del marzo del 2016 a Kyushu, l’isola più meridionale dell’arcipelago.

Mercoledì, nella parte meridionale di Hokkaido, l’isola più settentrionale, un evento a M 6.6 ha provocato crolli di edifici e diversi morti, e soprattutto per le frane indotte rimarrà a lungo un importante caso di studio su questo specifico aspetto. Tutto quanto è accaduto a causa di questi terremoti è clamorosamente in contraddizione con l’Università della Vita, secondo la quale “in Giappone non crolla nulla quando c’è un terremoto”, nato soprattutto a seguito dei tanti filmati girati l’11 marzo 2011.

Ma qual’è la differenza fra quel fortissimo terremoto e questi altri eventi più deboli ma che hanno provocato più danni (a parte, come detto, quelli dello tsunami)? Banalmente, il luogo dove sono avvenuti. Il Paese del Sol Levante è una zona molto calda dal punto di vista sismico, perché è una zona di scontro fra tre placche: la placca pacifica, quella delle Filippine e quella Euroasiatica. A causa di questo scontro la crosta dell’Oceano Pacifico e del mare delle Filippine, più pesanti, scendono sotto il continente asiatico (tecnicamente si dice che vanno in subduzione). E quando una crosta va in subduzione si formano anche una serie di vulcani al di sopra, esattamente come succede in Giappone.

La tettonica del Giappone.

Da un punto di vista tettonico il Giappone si può dividere in due parti: quella settentrionale orientata circa N/S: la crosta della placca dell’Oceano Pacifico scende sotto il continente e tra l’arcipelago e l’Asia e il limite fra le due placche, la cui traccia è la fossa del Giappone, è praticamente parallelo alla costa e la placca pacifica si muove quasi perpendicolarmente rispetto alla costa

All’altezza di Tokyo il bordo della placca pacifica si dirige verso il mare aperto, lungo la fossa delle Bonin, e la placca pacifica scende sotto quella delle Filippine. La zona di scontro è indicata dal sistema di arco / fossa di Izu – Bonin e delle Marianne. Per cui nella zona centro / meridionale del Giappone, orientata NW/SE, la placca che subduce sotto l’arcipelago è quella delle Filippine e la direzione del movimento è obliqua rispetto alla fossa corrispondente, quella di Nankai, e alla costa dell’arcipelago.

In questa carta, che mostra i terremoti a M > 5 degli ultimi 50 anni circa, si vede bene che gli eventi sismici si dividono in due classi. La prima, abbastanza intuitiva, è rappresentata dai terremoti che avvengono lungo il piano di subduzione,: siccome avvengono nella crosta pacifica che scendesotto l’Asia sono estremamente superficiali tra la fossa e l’arcipelago e poi diventano via via sempre più profondi andando verso il continente asiatico (i pallini assumono colori diversi: viola, blu, verde giallo, arancione e rosso a seconda della profondità).

Questi terremoti sono molto superficiali sotto l’Oceano Pacifico, ma sotto l’arcipelago sono piuttosto profondi (oltre 70 km)

Ma vediamo anche che nell’arcipelago giapponese molti terremoti superficiali: si tratta di una crosta molto fragile, in cui abbondano delle vere e proprie cicatrici di vecchi eventi tettonici. Queste vecchie faglie rappresentano delle zone di debolezza che reagiscono con i terremoti alle sollecitazioni che subiscono dallo scontro fra le placche.

La più famosa è la “linea tettonica mediana” del Giappone meridionale, che è attiva proprio a causa della direzione obliqua rispetto all’arcipelago della placca delle Filippine.

Shakemap dei terremoti 2011 e 2018 a confronto

Il terremoto del 2011 appartiene alla prima classe: è stato risentito in tutto il Giappone a causa della sua estrema forza, ma l’epicentro è stato nell’oceano Pacifico a circa 100 km dalla costa. Nel caso dei terremoti del 1995, del 2016 e di mercoledì scorso l’epicentro è stato sotto l’arcipelago, a poca profondità. Per capire, facciamo un paragone con i suoni: una campana viene percepita a grande distanza ma non dà noia, mettere invece l’orecchio su un altoparlante a tutto volume lo danneggia ma a qualche centinaio di metri questo suono non è udibile a meno di non trovarsi in una zona di silenzio assoluto.

La cosa discriminante per i danni da terremoto infatti è la PGA (Peak Ground Acceleration), cioè la massima accelerazione che le onde sismiche imprimono al terreno, che è funzione sì della Magnitudo, ma anche della distanza dall’area della crosta dove si genera un terremoto: insomma più lontano e più profondo è un terremoto, meno danni fa.

Lo dimostra il confronto delle due carte in figura, che sono alla stessa scala: a sinistra la mappa della accelerazione del terreno nel 2011 e a destra quella di mercoledì. Possiamo facilmente notare come nel primo caso l’area interessata dallo scuotimento sia stata estremamente più vasta che nel 2018, ma anche che l’intensità massima raggiunta dallo scuotimento sia stata ben più alta nel caso di mercoledì.

Un altro aspetto particolarmente importante di questo terremoto sono le frane. Si tratta di un fenomeno comunemente associato ai terremoti, che ne aumenta spesso considerevolmente le vittime ma, soprattutto, i danni. Il grande terremoto cinese del 2008 e quello nepalese del 2015 hanno generato moltissime frane, sia nell’immediato che nella successiva stagione delle piogge. Il gran numero di frane che si sono generate dopo il terremoto di mercoledì si spiega anche con le forti piogge dei giorni precedenti, le quali hanno indebolito il terreno che non è stato in grado di resistere alle forti sollecitazioni prodotte dalle onde sismiche.

Aldo Piombino