Spie camuffate da ambasciatori, droga dello stupro disciolta nello spumante e deportazione via jet. Questo era il copione scritto dal presidente Recep Tayyip Erdoğan per rapire un businessman turco, dissidente in terra svizzera.

Per lui l’intelligence elvetica è arrivata in tempo, mentre non è andata altrettanto bene a sei educatori rifugiati in Kosovo. Secondo il vice primo ministro, Bekir Bozdağ, sono già 80 i cittadini turchi impacchettati e trascinati in Turchia dai servizi segreti del MIT (Millî İstihbarat Teşkilatı). Ora, la lunga mano del regime è pronta a stringersi attorno alla star NBA Enes Kanter.

Gli inizi

Tutto inizia nel lontanissimo 2016. Il presidente Erdoğan è all’alba della sua opera di smantellamento dello stato di diritto. Giornali e televisioni sono sotto il controllo del partito AKP, le proteste a Piazza Taksim vengono disperse coi lacrimogeni, mentre i politici dell’opposizione sono processati per alto tradimento. È in questo clima “disteso” che si inserisce il fallimentare tentativo di golpe del 15 Luglio.

Quella notte le strade di Istanbul si bagnano del sangue di 250 tra civili e militari, mentre corre voce che il presidente sia stato assassinato da un gruppo armato dell’esercito. Tuttavia, alle prime luci dell’alba Erdoğan riesce a sedare la rivolta e dà il via ad una feroce controffensiva che in pochi anni porterà nelle carceri turche qualcosa come 80.000 persone, con la motivazione che siano seguaci eversori di Fethullah Gülen, l’uomo che sin dalle prime ore viene accusato di come il mandante del golpe.

Sostenitori di Erdogan ad Ankara. (Chris McGrath/Getty Images)

La reazione di Kanter

Ma Kanter, che assiste alla tragedia proprio dal salotto del “MaestroGülen (in Pennsylvania, USA), sa benissimo si tratti solo di una scusa. In rotta con l’AKP dal 2011 e già accusato di essere a capo di un fantomatico stato parallelo nemico, l’esiliato Gülen è il perfetto capro espiatorio. Non basteranno infatti la totale assenza di prove e le ripetute dichiarazioni di estraneità del “Maestro” per convincere Erdoğan del contrario.

Esterrefatto da atrocità e ingiustizie, Kanter decide di rompere il silenzio facendo la cosa più difficile: schierarsi apertamente contro il regime. Conscio della propria fama e forte di 500.000 follower su Twitter, inizia a denunciare le atrocità della sua madrepatria, criticando i metodi barbari di Erdoğan da lui definito “l’Hitler del nostro secolo.

Purtroppo le ritorsioni non tardano ad arrivare e la famiglia di Enes che risiede in Turchia è la prima a subirne le conseguenze. Posta, telefono e internet vengono messi sotto controllo, così che ogni contatto tra loro e il figlio è costretto a cessare. La paura di subire ritorsioni è tanta che il padre arriva persino a ripudiarlo pubblicamente, ma non basta per salvarsi. Pochi mesi dopo perderà infatti il lavoro di professore universitario e verrà condannato a 15 anni di reclusione con l’accusa di terrorismo, la stessa che già pende anche sulla testa di Kanter.

Le dichiarazioni di Kanter (Credit: Twitter)

Kanter: “L’ho fatto e lo rifarei”

Nessuno l’avrebbe biasimato se si fosse chiuso in un laconico silenzio, ma si sa, la codardia non è codificata nel DNA degli esseri umani di un certo spessore. Come Mohammad Ali e Colin Kaepernick, Enes Kanter prosegue la sua denuncia sociale a testa alta, facendo della sua storia un esempio.

L’ho fatto e lo rifarei – ha dichiarato in seguito – perché questo tipo di censura è una pratica molto comune nella Turchia di Erdoğan. Spero di poter essere d’aiuto anche a tutti quegli innocenti che sono già stati arrestati. Faranno di tutto per far tacere anche me”. Parole che col senno di poi si riveleranno profetiche.

Kanter, disavventura in Indonesia

20 Maggio 2017, Indonesia. Enes sta festeggiando il proprio compleanno inaugurando una scuola della sua charity foundation, quando l’agente lo avverte di esser stato convocato in commissariato per il mattino seguente. La polizia indonesiana è stata invitata dai servizi segreti turchi ad arrestare un pericoloso terrorista: lui.

Kanter in azione con i New York (Credit: Jesse Johnson-USA TODAY Sports)

Senza aspettare un attimo di più, i due fuggono su un velivolo privato. Il pericolo pare ormai scampato, quando scendendo a Bucarest per fare scalo scoprono che il suo passaporto è stato revocato. Le ore successive trascorrono in concitate trattative tra le autorità rumene e gli avvocati degli Oklahoma City Thunder (al tempo squadra di Kanter) per impedire il rimpatrio immediato, finché questi ultimi riescono ad avere la meglio.

Da quel giorno, la possibilità di esser catturato dai sicari di Erdoğan impedisce a Kanter di lasciare gli Stati Uniti. Nessun viaggio è più sicuro ed anche la trasferta londinese con la maglia dei New York Knicks viene disertata sotto consiglio del commissioner NBA Adam Silver. Ciononostante proprio mentre la sua franchigia sta sorvolando l’Atlantico, arriva la red notice dall’Interpol

I servizi segreti contro Kanter

L’intelligence turca, non convinta dalle dichiarazioni del nostro terrorista preferito, si persuade che sia partito assieme ai compagni e spicca un mandato di arresto con richiesta di rimpatrio immediato notificata alle autorità britanniche. Non c’è stata occasione di accertarlo, ma amo pensare che un paese democratico come la Gran Bretagna non avrebbe mai permesso l’estradizione del cestista turco che ha risposto così alle accuse di terrorismo.

Alla fine di questa storia, persiste una sensazione di pesantezza per le conseguenze drammatiche che tutt’oggi comporta il pensiero libero. Perché per noi è uno spasso gridare che Renzi è colluso con le banche, che Di Maio è “honesto” quanto un espresso a 5 euro e che Salvini spende i 49 milioni in pane e Nutella. È una gioia dare per scontato che sia un diritto lamentarsi e denunciare le magagne di chi ci governa.

Proprio come scriveva Calamandrei dopo la fine della dittatura: “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”.

Ricordiamoci sempre di proteggerla.

A cura di Sportellate.it

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