Sono di fronte al mio Mac e per una volta nella vita fatico a trovare le parole. Sarà già la terza volta che cancello e riscrivo le prime tre righe, con gli occhi un po’ appannati e sentendomi un po’ stupida. Forse dovrei semplicemente cominciare dalla fine, da questa fine: Stan Lee è venuto a mancare. Ieri The Man ci ha lasciati soli. Ha lasciato sola una bimba che ha cominciato a leggere i fumetti (non ancora i suoi) all’età di tre anni. Ieri, 12 novembre 2018, The Smilin’ ha lasciato sola una ragazza che al suo primo incontro con Wolverine e il Professor X si è resa conto, per la prima volta in vita sua, che forse non era poi così sola.
Spero che chiunque di voi si sentirebbe inadeguato di fronte al compito di parlare della vita di Stanley Martin Lieber, una vita straordinaria e fantastica quanto quella che ha regalato a milioni di noi. Una vita cominciata nel lontano 1922 a New York, quando i fumetti erano una cosa stupida e pericolosa, priva di una propria forma. E Stan fu uno dei pionieri che contribuì a scolpire proprio quella forma, quella definizione che attualmente diamo, forse, così scontata. Cominciò a lavorare per Martin Goodman presso la Timely Comics, quella che un giorno sarebbe diventata un pilastro del fumetto mondiale: la Marvel. Il primo lavoro, una sola pagina pubblicata come riempitivo su un numero di Capitan America del 1941. Il nome in calce? Stan Lee.
In questo giorno di cordoglio non me la sento, e forse non è esattamente questa la sede adatta per ripercorrere la carriera di uno degli autori più grandi che il mondo della sceneggiatura abbia mai visto. Perché l’opera di Stan va oltre il termine “sceneggiatura”. Va oltre il termine “fumetto”. Quello che The Man ha provato a insegnarci era molto di più, era più profondo, più articolato, più complicato.
I miei supereroi preferiti sono stati sempre Batman, Ironman, Hulk, Wolverine, Doctor Strange e il Professor X. Non tutti appartenenti all’immaginario di Stan, come potete ben vedere. Molti, ma non tutti.
Qual è il punto, vi starete chiedendo. Bene, il punto è che la filosofia superomistica di The Man non è stata sempre e solo la prima a occupare il posto d’onore nel mio cuore. Ha occupato anche quello della mia mente e per così dire, della mia pancia.
Come qualcuno saprà sono una tatuatrice. Uno dei primi tatuaggi che ho fatto in vita mia è stata una semplice frase. Una frase che però, quando la lessi, cambiò il mio mondo e insieme al mio quello di milioni di persone. Semplice, cristallina, irrifiutabile: «With great power comes great responsibility».
Da un grande potere derivano grandi responsabilità. E tu Stan sei stato uno dei primi non solo a saperlo ma a dircelo, a chiare lettere. A lettere rimaste impresse a fuoco dentro di noi, a cui pochissimi – se non nessuno – sono riusciti a sottrarsi. Tu lo sapevi e non ti sei tirato indietro. Come Spiderman. Come Wolverine. Tu avevi un grande potere: quello di insegnarci cose che il mondo intorno aveva perso la voglia di insegnarci.
E lo hai fatto. Hai preso il tuo genio, il tuo mondo interiore, la tua capicità di immaginare l’altro e il non esistente e metterlo al servizio del cambiamento. Stan, non potremo mai ripagarti: hai messo te stesso al servizio dell’idea di un mondo migliore. L’idea così semplice da esplicare ma così difficile da applicare che se puoi cambiare qualcosa, se puoi fare la differenza, hai il dovere di farlo. Ragazzi, per chi non avesse ancora focalizzato il concetto principale di questo, quello che The Man ci ha insegnato è l’onore. Ma calmi, non l’onore cavalleresco. Non l’onore che potrebbe esserci nel salvare una “donzella”, o “solo” nel difendere i più deboli. No…
Quello che Stan Lee ci ha insegnato è l’onore di vivere all’altezza delle nostre potenzialità. L’onore che c’è nel non venir meno a noi stessi, ai nostri ideali, ai nostri affetti. L’onore che c’è nel sapere che siamo una persona qualunque, un semplice Peter Parker, a cui il mondo, un dio, il fato ha fatto un dono. L’onore che c’è nel non sprecare quel dono, nel non metterlo al servizio di se stessi. L’orgoglio che si prova quando il nostro dono rende un’altra vita migliore e solo tramite questo, il nostro cuore, la nostra mente e la nostra pancia riescono a trovare la pace. La pienezza. Un senso.
Stan ci ha regalato tutto questo. Lo ha fatto. E l’ha fatto con una leggerezza, uno stile, una simpatia con cui veramente poche persone al mondo possono competere. Vederlo in vestaglia in tutti i suoi camei era una delle piccole gioie della mia vita. E non parlo esclusivamente delle sue apparizioni nei film Marvel, ma anche in quelle delle serie, come in The Big Bang Theory. Se Hugh Hefner ha mai avuto un vero, reale avversario quello era proprio Stan Lee. L’uomo di cultura, di classe che si è fatto da sé, che può in tutta coscienza presentarsi in vestaglia in ogni dove senza perdere un’oncia di stile. Senza venir meno a uno dei temi più cari alla sua filosofia: l’importanza della diversità.
Ed essendo figlio di due romeni di religione ebraica immigrati negli Usa, cavalo se ne sapeva qualcosa. Ne sapeva abbastanza da partorire gli X-Men, quello che si potrebbe definire l’inno superomistico alla diversità nel fumetto occidentale. Supereori emarginati. Li creò lui, per la prima volta. Lui infuse l’idea di quanto persone così “speciali” fossero comunque persone e in quanto tali, bisognose di tutto quello di cui abbiamo bisogno noi. Calore, amici, compagni.
Stan Lee non ha solo creato un mondo – o meglio diversi. Ha creato una filosofia. Ci ha infuso l’idea di “excelsior”: tendere e andare oltre una gloria più grande. Più grande di noi. Sempre.
Ha creato una canzone che cullasse noi ragazzi che ci sentivamo soli, ricordandoci che non lo eravamo. Che dovevamo prendere in mano le redini dei nostri poteri, accettarne le responsabilità e contribuire a plasmare il mondo che ci circondava, come potevamo, quanto e quando potevamo. Senza risparmiarci.
Ora te ne sei andato, e anche giustamente Stan. A 95 anni – con tutto quello che ci hai regalato – forse eri un pochino stanco. O forse no, forse stai solo insegnando tutto questo in un altro universo, instancabile e creativo come sei sempre stato.
Io posso dire solo che spero tu stia festeggiando al fianco di Thor nel Valhalla. O bevendo una birra in una bettola con Wolverine. O facendo una passeggiata, magari mangiando un hot dog, con Peter. O a disquisire in giro per l’accademia, magari in primavera, con il Prof. X.
Addio, Stan, non sai quanto ci mancherai.
Gaia “Elllie on the Rocks” Cocchi