Con “Station To Station“, David Bowie cambiò per l’ennesima il destino della musica leggera per assumere i tratti con cui la conosciamo oggi. Un compito che non avrebbe potuto portare a termine se dalla sua non avesse avuto il krautrock e soprattutto i Kraftwerk, gruppo del quale si innamorò al primo ascolto. Nel decimo album di quello che sta per diventare “Il Duca Bianco” è fortissima la carica di sperimentazione e l’introduzione della musica elettronica.
Los Angeles. Bel Air, per essere più precisi. Qui David Bowie si trovava durante le sessioni di registrazione dell’album. Peccato che non se ne ricorderà anni più tardi: “Sapevo che era a Los Angeles perché l’ho letto“, dichiarerà. La dipendenza aveva preso piede nella mente dell’artista, unita a un’insolita passione per l’occulto, la religione e il misticismo. In un clima di eccessi e sperimentazioni si svolse uno dei capitoli più importanti della storia di Bowie.
Dentro “Station to Station”
Quando nel 1975 terminarono le riprese de “L’uomo che cadde sulla Terra“, Bowie sembrava aver beneficiato del nuovo ambiente. Il ritorno a Los Angeles è stato traumatico. “In certi momenti giunsi a pesare 40 chili”, dichiarò Bowie. A questo si aggiungevano i cambiamenti di umore, gli atteggiamenti ossessivo-depressivi e la paranoia. Il contatto con l’occultismo di Aleister Crowley, la Kabbalah ebraica, la numerologia e il nazismo magico diedero vita alla figura del “Sottile Duca Bianco”.
Per le registrazioni radunò in studio un folto gruppo di musicisti: Carlos Alomar, Earl Slick, Dennis Davis, George Murray, e Roy Bittan (pianista proveniente dal giro della band di Bruce Springsteen) gettando così le basi della sezione ritmica formata da Murray/Davis/Alomar che avrebbe suonato in tutti i suoi successivi album fino a Scary Monsters (and Super Creeps) del 1980.
Uno sguardo alle canzoni
Al nuovo alterego spetta il compito di presentarsi in apertura del disco con l’omonima, cupa e misteriosa traccia “Station To Station”, dove annuncia “Il ritorno del Sottile Duca Bianco / che tira dardi attraverso gli occhi degli innamorati“. Una figura inquietante e, per certi versi, malvagia ma dotata di un carisma assolutamente magnetico. Da un fotogramma del fil di Roeg, che lo vide protagonista l’anno precedente, nacque la copertina del disco.
Il riferimento nel titolo rimanda alle tappe della via crucis. In quel momento Bowie stava esplorando anche il suo rapporto con la religione cristiana. Tra le tracce più famose, la celebre “Golden Years”, un funky soul in stile Elvis Presley che raggiunse la Top 10 in Gran Bretagna e negli USA; e la celebre cover di Nina Simone “Word On A Wing”. “È più profondo di chiunque abbia mai conosciuto” diceva la sacerdotessa del soul di Bowie, “David non è di questo pianeta”.
L’album fu largamente apprezzato da pubblico e critica. NME lo definì “uno degli album più importanti pubblicati negli ultimi cinque anni”. L’uso dell’elettronica, a tratti fredda, mutuata dall’ascolto della musica tedesca di Tangerine Dream, Neu! e Kraftwerk sarà la base per la costruzione di tutta la Trilogia Berlinese, di cui “Station To Station” rappresenta il prologo. Da quel momento l’Europa capì che il rock stava assumendo nuove forme di esistenza.
Simone Zangarelli
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