Morto all’età di 84 anni, Stefano Rodotà ha rivestito nel tempo molte cariche istituzionali di grande importanza ma di lui rimarranno soprattutto le grandi battaglie per i diritti civili 

Il mondo accademico e culturale italiano perde un altro importante esponente, Stefano Rodotà. Dopo una lunga malattia, tenuta nascosta al pubblico, si è spento a 84 anni uno dei giuristi più importanti d’Italia, in grado di fare la storia del nostro diritto e di tenerne alto e sempre acceso il dibattito, sia sul fronte giuridico che socio-politco.

Professore universitario, scrittore, intellettuale, politico, Stefano Rodotà ha rivestito negli anni moltissimi ruoli pur mantenendo, sempre, il “basso profilo” che lo caratterizzava, mai avvezzo ad apparire in pubblico, preferiva piuttosto parlare attaverso i propri libri, manuali universitari e articoli di giornale.
Rodotà “fu un anticipatore in moltissimi campi. Ha sempre intravisto prima degli altri fenomeni sociali, stili di vita, mutamenti nel linguaggio, nell’apprendimento e nella comunicazione. Ed è stata una delle persone più ricche di interessi e di energia che io abbia mai conosciuto. Un dinamismo senza pari. Molte delle sue opere non sono solo opere di diritto. È stato un uomo di cultura istituzionale e politica e anche un uomo di cultura tout court”, ha affermato Giorgio Napolitano dopo essere stato alla camera ardente.

Pur avendo cambiato nel tempo diversi partiti politici, rimanendo però sempre a sinistra, l’unico obiettivo di Stefano Rodotà è sempre stato quello di garantire i diritti civili e le libertà di ognuno. Partendo dalla nostra Costituzione, applicarne i dettami, per poi passare nel tempo ad una visione ancora più ampia di quella costituzionale, cominciando a parlare prima degli altri di argomenti più che attuali. Stefano Rodotà è stato definito, non a caso, un “uomo del futuro”, capace di difendere i nostri principi costituzionali pur adattandololi per garantire la tutela delle esigenze ed interessi morali del tempo mutevole. Del resto questo avevano voluto i nostri costituenti, fornendoci principi di ampio respiro e Stefano Rodotà è tra coloro che più fedelmente sono riusciti a rispettarne il progetto originale.

Le sue opere testimoniano chiaramente l’identità, il percorso e l’obiettivo intrapreso: partito dall’analisi di argomenti prettamente tecnici del nostro diritto (quando a 40 anni era già professore ordinario di diritto civile), pian piano inizierà ad affrontare problemi con rilevanti ripercussioni sul nostro quotidiano: “Questioni di bioetica”, “Intervista su privacy e libertà”, “Perchè laico” ne sono un calzante esempio.
Rodotà fu tra i primi a parlare non solo dei fenomeni del futuro ma anche dei problemi giuridici e della tutela dei diritti che questi avrebbero comportato: chiarificatori a riguardo sono i suoi scritti sulla tecnologia e sulle ripercussioni di questa in chiave di diritto. Per fare questo non si è mai trincerato dietro il proprio sapere, comunque carico dei retaggi del passato, ma si è invece sempre aperto alla critica e al confronto anche con i ragazzi, che aveva capito lo avrebbero potuto aiutare ad affrontare gli argomenti di cui negli ultimi anni aveva cominciato a trattare.

Dopo aver lasciato la politica da più di venti anni, Stefano Rodotà era tornato ad essere, pur conrovoglia, un personaggio pubblico dopo essere stato candidato a Presidente della Repubblica dal Movimento 5 Stelle nel 2013 e, fino a pochi mesi fa, essersi battuto, anche nei dibattiti televisivi, contro la riforma costituzionale proposta dall’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Con Stefano Rodotà se ne va un grande bagaglio culturale di cui spesso, magari, avremmo dovuto far maggiormente tesoro. Rimangono però i suoi scritti, che  tutti dovrebbero leggere almeno una volta, non perchè convinti o meno del suo pensiero ma per conoscere e confrontarsi con il suo modus operandi pacato e mai banale impiegato nel trattare di qualsiasi argomento, soprattutto in un momento storico in cui di intellettuali così raffinati ma allo stesso tempo umili non se ne trovano poi molti.

Lorenzo Maria Lucarellli