Gli stereotipi di genere nei libri scolastici sono molti più di quanti possiate immaginare. Noi BRAVE GIRLS vogliamo farvene vedere qualcuno.
Premetto che, data la vastità dell’argomento, questo articolo sarà diviso in due parti: questa prima sul linguaggio sessista e la seconda dedicata specificatamente sugli stereotipi di genere presenti nei libri di testo della scuola primaria italiana, che pubblicheremo la settimana prossima.
Cos’è un linguaggio sessista?
Non è “solo una parola”. La lingua è l’indicatore e responsabile degli stereotipi di genere presenti in una società. Manifesta e condiziona il nostro modo di pensare. Incorpora una visione del mondo. Ce la impone. E influisce sulle scelte (e sulle rinunce) delle prossime generazioni.
Il linguaggio che utilizziamo è sì uno strumento di comunicazione, ma anche di percezione e di classificazione della realtà, ed è per questo che dobbiamo fare attenzione al sessismo presente nelle parole che ci circondano. Specialmente a scuola, specialmente nella stampa, perché lì si forma e fissa la percezione della realtà dell’individuo. Ancor di più nei primi cicli di istruzione.
Gli stereotipi di genere
Dall’uso del maschile non marcato (quando al maschile si assegna una funzione bivalente, dove per “uomini” o “cittadini” si intende sia le persone sessualmente maschili, che quelle femminili), agli agentivi (i nomi professionali, le cariche, …) la nostra lingua è palesemente una lingua androcentrica. Ed in queste dissimmetrie grammaticali la donna viene marginalizzata, ridotta, cancellata. A volte viene considerata come categoria a parte ( “i barbari si spostavano portando con sé donne, vecchi, bambini” non vi erano donne anziane o bambine?), oggettivandole. Altre la limitazione semantica del femminile sempre marcato, a fronte di un maschile doppiamente valente, ci impone un pensiero errato, come nell’esempio del saggio “L’educazione sessita”: “Mastroianni è stato uno dei più grandi attori italiani” rende nella nostra mente un attore più bravo di altri attori ed attrici, mentre “Anna Magnani è stata una delle più grandi attrici italiane” dimezza il campo al solo insieme femminile.
Le forme femminile simmetriche
Si discute da decenni sulla necessità di utilizzare forme femminili simmetriche per indicare professioni, cariche, mestieri e genericamente titoli. L’origine del problema è chiaro: non vi sono agentivi, e se ci sono non piace utilizzarli perché “suonano male”, perché si rifanno ad una divisione netta di ruoli nel mondo lavorativo. La Magistratura, per esempio, è stata aperta alle donne solo nel 1963: chiamare un magistrato donna “magistrata” non è ancora entrato nel linguaggio comune. Come faticano ancora ad entrare agentivi femminili per gli avvocati, gli architetti, gli assessori e i sindaci, gli imbianchini, i senatori ed i rettori, e via dicendo. E negli aggettivi epiceni, quelli uguali al maschile ed al femminile, si utilizza spesso l’articolo maschile quando si parla di occupazioni e cariche di prestigio. Su questo abbiamo pubblicato un approfondimento qui.
Nei casi opposti, ossia quando un uomo ha una professione storicamente femminile, l’agentivo viene modificato. Non si scriverà riferendosi ad un uomo come “la casalinga / la maestra d’asilo Mario”, ma si sente naturale scriverne declinando al maschile.
Anche nel caso in cui “donna” venga utilizzato come modificatore (“il magistrato donna xxx”), non si usa la stessa tecnica al maschile (“la casalinga uomo”).
E, quando si passa ad indicare professionisti, artisti, celebrità, cariche, se uomini si usa il cognome, se donne si passa spesso al nome proprio o al cognome anticipato dall’articolo femminile. Siamo così stereotipati da utilizzarlo in modo automatico?
Dissimmetrie semantiche
Scrive diminutivi, vezzeggiativi solo quando si parla di donne (“vecchietta” ma non “vecchietto”, “donnina” ma non “ometto”, “mogliettina” ma non “maritino”). Considerare le persone di pari età diverse in base al loro sesso (una donna di 30 anni, un ragazzo di 30 anni). Polarizzare in modo diverso gli aggettivi e i sostantivi (“un uomo libero” ha una valenza diversa da “una donna libera”, passeggiatore e passeggiatrice, un uomo allegro e una donna allegra). E implicare una connotazione sessuale in quello femminile.
Intervistare gli uomini con domande riferite alla sfera lavorativa, e alle donne riservare quelle sulla sfera privata. Il gruppo FB il Sessismo nei media italiani ci invita a provare a rovesciare i titoli degli articoli: sarebbe credibile “L’estate di *nome di politico*: la fidanzata, la barbetta. E a settembre il ministero dell’Istruzione?”
L’asterisco di genere e lo schwa
La società si evolve, la lingua con essa, per non lasciarci orfani di pensieri. Per questo dobbiamo leggere con cura, protestare, scrivere senza stereotipi di genere. Dare enorme importanza a questa questione, non liquidarla come “sono solo parole”, come ci insegnano gli interventi di Vera Gheno, i saggi di Alma Sabatini. Capire la necessità di discuterne, come abbiamo visto quest’estate con la denominazione della Camera delle deputate e dei deputati. Cercare nuove strade per rendere inclusiva la nostra lingua, prendendo l’esempio dalle altre nazioni, come la Svezia che dal 2015 ha fatto adottare un pronome neutro nei dizionari. Una via potrrebbe essere incrementare l’utilizzo dell’asterisco, o del carattere Schwa (pron.: sciuà) che permette di essere utilizzato anche nel parlato. E monitorare i testi scolastici, come vedremo più approfonditamente nel prossimo articolo.
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