Olindo Romano e Rosa Bazzi, che stanno scontando l’ergastolo per la strage di Erba dell’11 dicembre 2006, sono vittime di un errore giudiziario e in carcere da innocenti. Non lo dice il loro avvocato difensore, ma il procuratore che sostiene l’accusa. Il pg di Milano, Cuno Tarfusser, ha avanzato la richiesta di revisione del processo per la morte di Raffaella Castagna, del figlio Youssef Marzouk di soli 2 anni, della nonna del piccolo Paola Galli e di una vicina di casa Valeria Cherubini.

Nelle 58 pagine del suo atto, in parte pubblicate in esclusiva dall’agenzia Adnkronos, si mettono nero su bianco tutti gli errori e le forzature compiute dall’accusa nei tre gradi di giudizio. Una vicenda, quella della ingiusta condanna subita da Olindo Romano e Rosa Bazzi che era stata oggetto di numerose inchieste da parte de Le Iene.

Un’altra offensiva mossa dal sostituto procuratore della corte d’Appello di Milano è quella di chiedere alla corte d’Appello di Brescia di rinnovare l’istruzione dibattimentale “per quanto riguarda la strage di Erba“. Egli chiede di esaminare i 57 consulenti tecnici che hanno redatto le consulenze tecniche sulle modalità, le tecnologie, gli accertamenti da loro effettuati e sui risultati cui sono giunti.

Le incongruenze nella sentenza di condanna sulla Strage di Erba, Olindo e Rosa innocenti?

Tarfusser inizia ricordando le incongruenze non citate nella sentenza di condanna. La prima è che i delitti vennero «commessi con armi da punta e corpi contundenti che mai verranno ritrovati». La seconda è quella della testimonianza di Frigerio che al primo interrogatorio non accusò né Rosa né Olindo, sostenendo di essere stato aggredito da uno sconosciuto dalla pelle olivastra. Versione ripetuta in successivi incontri e poi cambiata dopo settimane solo su «imbeccata» di un luogotenente dei carabinieri che continua a insistere su Olindo.

La terza incongruenza è proprio quella della confessione del 10 gennaio di Rosa e Olindo. I due si erano infatti sempre proclamati innocenti, perfino nell’interrogatorio di due giorni prima, l’8 gennaio. Gli inquirenti li avevano fatti incontrare in carcere intercettandoli, così come prima del fermo avevano fatto sia in casa che nella loro auto. Mai da quelle intercettazioni erano emersi indizi di colpevolezza, e anzi i due si interrogavano su chi potesse essere stato l’autore della strage. Tarfusser sottolinea in proposito come nelle sentenze: «Nessuno spazio viene dato agli interrogatori dell’8 gennaio 2007, solo due giorni prima di quelli in cui rendono le “confessioni”. Nessuna delle due sentenze ne tratta, non hanno alcun valore, sono tamquam non essent. Eppure sono, a mio avviso e per quanto dirò, di grande, di fondamentale importanza perché sono propedeutici alle confessioni».

Il sostituto procuratore generale di Milano ha voluto ascoltare anche la registrazione della loro confessione del 10 gennaio 2007, non fidandosi delle trascrizioni. E annota: «Il semplice ascolto lascia esterrefatti. Innanzitutto il contesto ambientale. Questo è caratterizzato da un enorme squilibrio numerico, culturale, emozionale, giuridico. All’interrogatorio dei due fermati, una semianalfabeta e un netturbino, procedono addirittura quattro (!) Pubblici Ministeri e (almeno) un ufficiale di polizia giudiziaria, l’onnipresente Lgt. GALLORINI. A difenderli è un difensore d’ufficio che, stando ai verbali e all’audio, è una presenza meramente fisica, di regolarità formale dell’ interrogatorio, non certo di effettività che il suo ruolo e la sua funzione imporrebbero. La pressione, soprattutto psicologico-emotiva, cui i due fermati sono stati assoggettati è enorme». I consulenti poi hanno interrogato in carcere entrambi i coniugi, certificando come siano disposti sotto pressione a confessare fatti del tutto inventati anche a loro danno.

Non solo, continua il magistrato, «Resta anche da capire – materia anche questa poco esplorata dalle sentenze delle Corti di merito – cosa accadde nelle circa 48 ore tra gli interrogatori dell’8 gennaio e quelli del 10 gennaio 2007. Certo è che i due sono soggetti a qualche “manipolazione” da parte dei Carabinieri che la mattina del 10 gennaio sono entrati in carcere, apparentemente per prendere le impronte ai fermati, cosa che, per esperienza, viene fatto all’atto dell’esecuzione di un fermo o di un arresto e prima della conduzione in carcere, Attività che comunque non necessita di tre ore».

Oltre ai dubbi sulla inchiesta, arrivano le perizie dei 17 consulenti. La prima è sulla testimonianza di Frigerio, che giudicano non attendibile ed acquisibile agli atti. «Frigerio sviluppò», spiegano, «a seguito dell’aggressione, una disfunzione cognitiva provocata da intossicazione da monossido di carbonio, arresto cardiaco, shock emorragico e lesioni cerebrali focali. Stante la gravità dei singoli eventi neurolesivi, la loro concomitanza in un soggetto anziano e iperteso ha sicuramente determinato un complessivo scadimento delle funzioni cognitive necessarie a rendere valida testimonianza». Il magistrato milanese aggiunge poi che «il testimone fu progressivamente indotto ad aderire a suggerimenti che determinarono l’installazione di una falsa memoria circa la corrispondenza tra l’aggressore sconosciuto e Olindo Romano». La procura generale di Milano ha poi proceduto alla «decodifica e trascrizione integrale delle intercettazioni ambientali dal 20 dicembre 2006 al 3gennaio 2007 compresi, mai effettuate prima, dalle quali si evince che il testimone fu esposto ad alterazione del ricordo da parte dei figli e del suo avvocato. Queste stesse trascrizioni sono inoltre prova ulteriore del decadimento cognitivo di Frigerio, che lo rendeva inidoneo a rendere testimonianza».

Infine la macchia di sangue che sarebbe stata trovata in auto. Per tutti i consulenti tutta la documentazione non dimostra la sua esistenza, che per altro era sfuggita anche alla perquisizione immediata. Ma salta fuori- non citata nelle sentenze- un ripetuto esame da parte dei Ris della scena del delitto e dell’abitazione di Rosa e Olindo in cui non si trova alcuna traccia genetica loro sulla scena del delitto e nessuna traccia genetica delle vittime nella casa della coppia condannata per la strage. Ora il processo può davvero essere riaperto.

Il pg sottolinea anche come nella vicenda ci sia stato un “mancato perseguimento anche di altre piste investigative”. E poi pone l’attenzione verso “le mai spiegate lacune di giorni, le intercettazioni sia ambientali che telefoniche: il mancato esame di possibili testi oculari, la distruzione di reperti in violazione di un ordine di mantenimento”.