“Stronger – Io sono più forte” è un film di David Gordon Green del 2017. Il film racconta una vicenda reale, quella di Jeff Bauman, un americano che nell’attentato alla maratona di Boston del 15 aprile 2013 perse entrambe le gambe. Il film, tratto dal libro di Bauman, vede le straordinarie interpretazioni di Jake Gyllenhaal e Tatiana Maslany. Il ruolo di Erin ha consacrato l’attrice canadese dopo la sua sorprendete prova in “Orphan black”, serie dove interpretava dei cloni ognuno con le sue peculiari caratteristiche.
Gordon Green decide, nel raccontare l’attentato, di mettere al centro la storia di un uomo comune, che si ritrova casualmente ad essere un eroe quando aiuta la polizia ad identificare uno degli attentatori. Ma Jeff eroe non si sente. Il regista, aiutato da un grande Jake Gyllenhaal, ci mostra la difficile vita di tutti i giorni che un uomo comune che non ha più le gambe deve affrontare. Senza sensazionalismo, senza romanticizzare il dolore e renderlo più di quello che è: dolore.
Stronger: una storia di perdita e rinascita
Questa è una storia di perdita. Perdita di un amore, Erin, che Jeff prova a riconquistare andando alla maratona dove avverrà l’attentato e con cui ci saranno molti tira e molla. Perdita della possibilità di camminare. Di se stessi e della propria identità con il successo mediatico. Della libertà perché la vita non sarà più la stessa per Jeff e per chi lo circonda. Tutti i personaggi nel film sono imperfetti e ricalcano la realtà della periferia americana: una famiglia allargata dove è difficile comprendersi e starsi accanto. Lo spettatore non prova mai pietà per Jeff, che anzi sbaglia spesso. E’ irascibile con chiunque provi ad aiutarlo e non riesce a tenersi neanche un lavoretto.
Si tratta di una storia di rinascita, dove l’attentato non sarà altro che il motore che porterà Jeff a riflettere sulle sue scelte di vita. L’intenso Gyllenhaal ha stupito con il suo sguardo smarrito e la sua rabbia contenuta che esplode nei momenti giusti senza patetismi. Un’interpretazione da Oscar la sua, che però non trova candidatura. Probabilmente perché quell’anno di film significativi ce n’erano molti, come “Chiamami col tuo nome” o “L’ora più buia” con i loro grandi interpreti. O forse perché agli americani il “pudore” di questa interpretazione non entusiasma. Il cinema statunitense è abituato a grandi gesta e storie epiche.
La storia di Bauman: una storia di speranza
Nel suo libro Jeff ha raccontato la vicenda e le sue sensazioni. In attesa della sua fidanzata al traguardo della maratona, il giovane americano aveva notato un ragazzo con un grosso zaino e molto coperto nonostante il caldo tra la folla. Il tempo di distogliere lo sguardo un attimo che il ragazzo non c’era più e al suo posto era rimasto solo lo zaino. Un gran botto, seguito da un lampo. Bauman si era trovato a terra, con un’amica della fidanzata. Guardandosi, storditi, i due hanno scoperto con orrore che Jeff non aveva più le gambe. Un medico presente tra la folla si è subito fiondato su di lui per fermare l’emorragia e salvargli la vita.
Il periodo di riabilitazione dopo l’inserimento delle protesi è stato fotografato da Josh Haner, che con questo servizio ha vinto il Premio Pulitzer. Il film di Gordon Green è un film che lascia speranza, come la storia di Bauman. La speranza che tutti possano farcela, espressa dal riuscito lancio di Jeff della pallina nello stadio dei Red Sox, la squadra di baseball americano per cui fa il tifo. Ma lascia speranza anche il finale, tipico dei film biografici, dove vediamo le foto di Jeff oggi. Si tratta di un uomo che ce l’ha fatta. Ed è proprio per questo che Bauman per tutti è stato considerato un eroe, non perché fosse perfetto, ma perché era un simbolo di rinascita. Soprattutto per chi veniva dalla periferia americana.
Paola Maria D’Agnone
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