Tutto è cominciato dal gesto di uno studente spagnolo che ha deciso di andare a scuola con una gonna. Poi piano piano, come i cerchi sull’acqua prodotti da un sasso, l’iniziativa si è allargata ed è arrivata anche in Italia.

Un piccolo gesto, ma dalla potenza sovversiva estrema, compiuto con l’intento di superare i polverosi e stantii stereotipi di genere.

La storia di Mikel Gomez

Tutto è cominciato durante un tranquilla giornata di Mikel Gomez, studente di Bilbao, che affascinato dalla causa femminista sceglie di sposarla andando a scuola con una gonna. Arrivato a in classe, tra i brusii degli altri studenti e le facce storte di alcuni professori, viene quasi immediatamente spedito dallo psicologo scolastico per appurare se se si sente una donna. Mikel torna a casa e racconta la sua esperienza su Tik Tok in un video che, ad oggi, conta più di 2 milioni di visualizzazioni. L’episodio sembra isolato, eppure qualche giorno dopo il suo professore di matematica, Jose Piñas, decide di seguire l’esempio dell’allievo e lancia l’hashtag #LaRopaNoTieneGenero (i vestiti non hanno genere). “Molti insegnanti si sono girati dall’altra parte”, ha scritto Piñas sui social, “io invece voglio essere solidale con Mike. Nel 2021 non si può essere sospesi per un vestito”.

#LaRopaNoTieneGenero

Ad oggi, cercando l’hashtag lanciato dal professore (#LaRopaNoTieneGenero) escono migliaia di risultati: tantissimi sono gli studenti e i professore che hanno aderito all’iniziativa. Manuel Ortega e Borja Velaquez, due insegnati elementari eterosessuali- a dimostrazione del fatto che le rivoluzioni non hanno genere nè orientamento sessuale- hanno deciso di presentarsi a scuola in gonna per tutto il mese di maggio. I due insegnanti, intervistati da El Pais, hanno detto di aver notato un cambiamento positivo nel comportamento degli studenti da quando hanno iniziato a indossare la gonna durante le lezioni. La scuola, dicono Ortega e Borja, dovrebbe essere proprio la prima a insegnare la libertà. E in Italia?

L’iniziativa in Italia

L’Italia si sa è un paese in cui il bigottismo è lo sport nazionale per eccellenza e già i soliti noti hanno gridato allo scandalo. Non ci sono dubbi: pericolose sarebbero le conseguenze se mai venisse insegnato nelle scuole il rispetto per le scelte altrui e la libertà di essere e vestirsi come meglio si desidera. Tuttavia, nonostante il perbenismo sfacciato che impera, Angelo Ragazzini, tiktoker di 18 anni, ha deciso di far sbarcare anche in Italia l’iniziativa. Ieri, ultimo giorno di scuola, è entrato in classe con una gonna e ha poi raccontato a Tpi le reazioni di compagni e insegnanti:

All’inizio avevo un po’ d’ansia perché, anche per i miei compagni, una cosa è vedermi in video, una cosa sui banchi di scuola. Invece le reazioni sono state anche meglio di quello che mi aspettavo. Persino alcuni professori mi hanno fatto i complimenti per il messaggio di inclusione che stavo lanciando. (…)Certo ci sono sempre i sorrisini, le risatine.

Poi ha raccontato un’esperienza personale che invita alla riflessione e fa sperare che quel bigottismo all’italiana possa lentamente morire:

“Se proprio devo citare un episodio, una volta a Rimini venni circondato da un gruppo di ragazzi extracomunitari, sui 30 anni, che mi diedero pure una pacca sul sedere dicendomi che sembravo una ragazza e così via. Alcuni sarebbero scappati impauriti, io però non mi faccio mai scoraggiare, non mi spavento. Mi metto sempre nei panni degli altri. E cerco di capire cosa può portare questi soggetti a comportarsi così. E gli ho spiegato che come loro hanno subito discriminazioni per il loro colore della pelle, per la loro etnia, per la loro religione, io le ho subite per la mia omosessualità. Quindi anziché farci la guerra, dovremmo essere più solidali gli uni con gli altri. Alla fine ci siamo stretti la mano e sono andato via felice. Ecco, la mia esperienza mi racconta sicuramente una cosa: il mondo dei social è molto peggio di quello reale.”

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Giulia Moretti