Attualità

“Subway Hands”: le mani in metropolitana fotografate da Hannah La Follette Rayan raccontano come siamo cambiati con il Coronavirus

Le mani sono una delle parti del corpo che meglio raccontano il nostro “io”. Aristotele diceva che sono una diramazione del nostro cervello: per lui, il possesso delle mani era funzione di una maggiore intelligenza, nonché della capacità di padroneggiare un maggior numero di tecniche. Il possesso della mano sanciva la superiorità del corpo umano rispetto a quello degli altri animali. La mano era dunque – secondo Aristotele – “strumento degli strumenti”, degna di essere declinata a metafora dell’anima intellettiva. Se il primo contatto che stabiliamo è attraverso gli occhi, sono le mani che raccontano ed evocano ciò che stiamo immaginando. Quando parliamo, usiamo la gestualità per dare forma a ciò che stiamo descrivendo. Perché le mani ci aiutano a farci capire, spesso lo fanno al nostro posto. Ci tradiscono. “Le mani possono inconsciamente condividere il nostro umore. A seconda del giorno, l’energia può essere calma, nervosa, eccitata, apatica, esausta o innamorata”, è per questo che Hannah La Follette Ryan inizia a fotografarle.

Nata nel Massachusetts, si trasferisce a New York nel 2015, e ad un mese dal trasloco inizia “Subway hands”, un progetto che nasce dalla voglia sfrenata di diventare, sentirsi una newyorkese, al punto da andare in giro “con gli occhi spalancati”. Viaggiando da Brooklyn a Manhattan, Hannah si ritrova spesso in metropolitana, uno spazio che definisce “espressivo”, in cui non può fare a meno di guardare le persone, ogni energia; ma sono le mani a colpirla davvero. Per lei essere in metropolitana è come trovarsi in un limbo: “Tutti devono interrompere quello che stanno facendo e viaggiare insieme da un punto all’altro”. La prima mano che ha attirato la sua attenzione era quella che stringeva troppo forte il palo per sorreggersi: aveva un cerotto sulle nocche, ma Hannah ci ha letto una storia: “In quel momento mi è venuto in mente quanto le persone rivelano nelle loro mani” – ha detto in un’intervista – tensione, esperienza ed età: queste sono cose che spesso nascondono consapevolmente nei loro volti”. Ha scattato la foto, e senza rendersene conto ha iniziato a cercare storie di altre mani. Quando le chiedono che cosa ci sia di diverso nel linguaggio del corpo delle persone in metropolitana risponde: “La metropolitana è diversa perché ci sono meno distrazioni, viaggiamo da soli ma insieme. Le persone si ritirano nelle loro teste e smettono di pensare alle proprie mani. Questi sono i momenti che mi interessano di più”.

“Le mani sono espressive e reattive in un modo che spesso sembra più onesto”

Quando ha iniziato, chiedeva il permesso alle persone di farsi fotografare. Pur rendendosi conto di quanto fosse strano che uno sconosciuto ti chieda di scattare una foto alle tue mani. Spiegava il progetto, ma il naturalismo della posa, o qualunque cosa delle mani la colpisse, svaniva in un niente. “Quindi non chiedo più”, ammette. Hannah scatta principalmente con il suo IPhone, mentre viaggia per la città, e la maggior parte dei soggetti non si rende conto che le loro mani stanno facendo da ritratto. Scorrendo il fiume delle sue foto – che pubblica sul suo account instagram (@subwayhands) – le mani assumono le sembianze di sculture. Sembrano estranee e astratte. Creature che esistono indipendentemente dai soggetti. Ma, individualmente, sono intime e leggibili come i volti. Forse di più. “Le mani sono espressive e reattive in un modo che spesso sembra più onesto”. L’ha capito da quella volta che da piccola stringeva sempre la mano di suo nonno: gli suggeriva perfettamente la vita che aveva vissuto, perché “quando vedi le mani di una persona anziana vedi esperienze e ricordi”. Da qui prende ispirazione il suo diverso approccio alla fotografia.

Con la pandemia da Coronavirus, Hannah ha documentato ‘nuovi modelli’: mani che stringono fazzoletti o piccole bottiglie di plastica di disinfettante, mani che si attorcigliano l’una sull’altra per assorbire il siero alcolico sulla pelle, mani strette in guanti di lattice, mani in tasca, mani che cercano frenetiche informazioni sul telefono: “Anxious hands”, che ricordano quanto il virus abbia stravolto le nostre abitudini quotidiane, dagli atteggiamenti ai movimenti. “Le persone sono diventate molto più vigili e consapevoli dell’ambiente circostante. Sono molto più sensibili. – ha detto – All’improvviso i movimenti sono diventati sorprendenti. Oggi uno starnuto porterebbe il silenzio in un’intera metropolitana”. Ma nell’emergenza le mani sono ancora il nostro mezzo di comunicazione universale. Quelle che “ci stabilizzano, ci calmano e mediano le nostre relazioni”. Le stesse che hanno trasformato la serie di Hannah da un lavoro di ritrattistica non convenzionale a un vero e proprio fotogiornalismo artistico.

Photos by Hannah La Follette Ryan (@subwayhands on Instagram)

Francesca Perrotta

Pulsante per tornare all'inizio