Basta un #hashtag per dare voce a tutte quelle donne che nel corso della vita hanno subito una qualsiasi violenza. Le Suffragette si arrabbiano e #sputtananoiporci.
Mi piace pensare ai primi anni del XXI secolo come i corrispettivi del secolo scorso. I temi sociali affrontati del resto sono identici. Alcuni pensano che siano ciclici, altri invece che alcuni non siano mai cambiati. Migliorati o meno, una delle lotte che più creò scompiglio fu quella delle Suffragette. Quelle donne che chiedevano di autodeterminarsi, di essere riconosciute in quanto essere umani detentrici di diritti, e non solo di doveri. Una lotta che pretendeva la libertà di scelta. Scelta non solo in termini politici, ma anche educativi, lavorativi e sopratutto emotivo- relazionali.
L’italia chiama, Weinstein risponde. Più che altro lo fanno le donne. Dato il via dalla nostrana Asia Argento, mezza Hollywood si risveglia. In quale momento storico migliore poteva verificarsi il ritorno delle Suffragette, alle quali l’acquisizione di un diritto non ha comunque garantito l’emancipazione e il rispetto che meritano? La libertà di poter dire “no” e la possibilità che l’interlocutore comprenda il significato di questa parola. Adesso le voci iniziano a levarsi, e piccoli cori si diramano da una parte all’altra del globo, pretendendo il diritto di essere donna. L’input, a quanto pare, è stato dato dalla giornalista italiana Giulia Blasi, che su Twitter ha dato il via ad uno dei suddetti cori il cui hashtag di riconoscimento è #quellavoltache. Immediatamente replicata in Francia con “sputtana il tuo porco” e negli stessi USA con #metoo.
Immediatamente ci si rende conto per quante donne in Italia e in tutto il mondo, in qualsiasi ambito possibile e immaginabile, si siano verificate queste aberrazioni. Sono racconti assordanti, che sfidano qualsiasi umana comprensione. Ciò che dovrebbe dare da pensare ai nostri maschietti e a chi se ne dovrebbe occupare, sono proprio i numeri e le reazioni alla call. Anche solo il riconoscersi nella storia di un’altra donna. Il comprendere che determinati atti o esperienze possano essere capitati anche a noi, ai quali magari non si è mai dato il giusto peso. Oppure la consapevolezza di essere stata trattata sempre come un oggetto. Quel desiderio che da sempre ha reso l’uomo prepotente. Nell’intervista del Corriere alla blogger Giulia Blasi emerge la voglia che ci sia di dare voce e, allo stesso tempo, ascolto alle urla soffocate di tutte queste donne. Nello specifico, ciò che merita attenzione è che il signor Weinstein in questione è stato letteralmente fatto fuori da tutti gli ambiti della sua vita. Anche la moglie lo ha lasciato.
A distanza di un secolo il tema è sempre la sopraffazione maschile. La violenza, la pretesa di appartenenza e la legittimità ad ottemperare queste azioni garantite da pene irrisorie che sono lontane dal risarcimento in termini di dignità e rispetto. Da un lato quindi la giustizia seleziona i criminali e sceglie le pene in base a diverse determinanti, dal altro il numero delle donne che hanno subito una violenza, fisica o verbale che sia, segue un triste andamento crescente. Cosi che allo stesso tempo mentre l’Italia vede protagoniste sempre più donne che denunciano segnando una svolta epocale, i commenti sui social e i titoli di alcune testate nazionali ci ricordano quotidianamente che in ogni caso la responsabilità è sempre della donna. In Italia, al contrario l’omertà non distrugge solamente la materialità delle nostre vite, ma crea danni soprattutto morali. D’altro canto, finché continueranno ad essere gli uomini ad avere in mano il futuro delle donne, non vi sarà mai giustizia. Una giustizia che dapprima deve esse umana e poi sociale. Che punisca la violenza in ogni sua accezione.
Chissà che nel XXI secolo le lotte sociali non si facciano proprio con i social. Chissà che non basti un #hashtag per mettere la società nella posizione di dire “ok, abbiamo un problema”.
Annalisa Maddocco