Si discute tanto di crudeltà, di odio, di massacri, di stermini, di atrocità, di ingiustizia, di follia, di malvagità. La razza umana, effettivamente, è anche tutto questo. E tu vieni a conoscenza di questa facciata marcia del mondo quando sei ancora un moccicoso delle scuole elementari, grazie soprattutto agli insegnamenti delle maestre, che, con tutte le precauzioni possibili per non traumatizzarti eccessivamente, cercano di spiegarti argomenti difficili come le guerre o le stragi che hanno caratterizzato il corso della nostra storia; insomma, cercano di spiegarti il Male. 

Lì per lì non ti ci soffermi a riflettere più di tanto, ma comunque qualcosa ti scatta dentro e rimani in qualche modo segnato da quelle lezioni. È come se il tuo candido animo fanciullesco fosse stato sverginato da una piccola macchiolina nera. Rabbrividisci, provi sentimenti contrastanti, dal dolore alla tristezza, passando per l’angoscia, fino a che poi non torni tranquillo a giocare coi Gormiti, perché, dopotutto, sei ancora un ingenuo marmocchietto. Oggi, dopo la visione di questa incredibile pellicola, è come se fossi tornato a quell’esatto momento di tanti anni fa, quando per la prima volta ti era stato presentato il concetto del Male: rabbrividisci, provi sentimenti contrastanti, dal dolore alla tristezza, passando per l’angoscia, e senti che quella macchiolina nera si è espansa ancora un po’ di più, in maniera decisamente più profonda e più viscerale. E oggi non ci sono più i Gormiti ad alleggerirti lo spirito, ma soltanto la dura consapevolezza dell’età adulta.

“Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini

“Sulla mia pelle”, mai come prima titolo fu più azzeccato: attraverso la straordinaria interpretazione di Alessandro Borghi, infatti, quella sofferenza, quel martirio, quel supplizio inferto sulla pelle di Stefano Cucchi diventa universale. Lo spettatore patisce con lui, si tormenta come lui, prova la stessa rabbia e la stessa paura, fino a perdere poco a poco la speranza e ad accettare con desolata rassegnazione il nefasto destino che sempre più prepotentemente si materializza inesorabile davanti ai suoi occhi.

Stefano Cucchi, interpretato da Alessandro Borghi, in una scena de film (fonte: dal web)

Ma parliamo un po’ di numeri: ad esempio il 31, il numero degli anni della vittima; oppure il 43, il numero dei chilogrammi che pesava il giorno dell’arresto; 37, quelli che, invece, pesava il giorno della sua dipartita; 3, il numero dei Carabinieri accusati della sua morte; 9, gli anni passati da quel fatidico 22 ottobre del 2009; 45, le udienze tenutesi tra perizie e maxi perizie di vario genere. Ed intanto, nel bel mezzo di tutti questi numeri, forse ormai assurdi, forse ormai privi di qualsiasi senso o finalità, c’è un corpo, c’è il corpo, freddo, inerme, maciullato, straziato, prosciugato, di un giovane, del giovane Stefano Cucchi. Ok, tutti d’accordo all’unanimità sul fatto che il ragazzo, come anche puntualmente rappresentato dall’opera del regista Cremonini, non passerà agli annali come modello di impeccabile rettitudine ed integrità morale, tutto casa e Chiesa, Chiesa e casa, e salmi durante il tragitto, considerato che venne beccato in possesso di bustine di hashish e cocaina. Ma tale colpa fu una valida giustificazione per arrecargli lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso (con una frattura della mascella), all’addome (inclusa un’emorragia alla vescica) ed al torace (con due fratture alla colonna vertebrale)? Ah già, ma probabilmente cadde dalle scale della caserma quella notte, come da lui stesso dichiarato con voce tremante alla domanda “Che ti è capitato?”.

Il raffronto tra il vero Stefano Cucchi (a sinistra), al momento del suo decesso, e Alessandro Borghi (a destra) in una scena del film (fonte: dal web)

E il peggio di tutto ciò è che il peggio deve ancora arrivare. Il film, infatti, a questo punto ci mostra come il protagonista, ridotto nelle stesse condizioni di Rocky Balboa dopo l’incontro con Apollo Creed, subisca una disumanizzazione ancora più degradante: passare da pungi-ball di carne ed ossa, oggetto di sfogo e violenza gratuita altrui, a oggetto di totale indifferenza e disinteresse da parte di tutti coloro che se lo ritrovano davanti. “Cosa ti è successo?” chiedono i più temerari, ma al minimo sentore di guai, di puzza di una faccenda troppo torbida che potrebbe rivelare verità scomode, anche costoro scelgono di non immischiarsi oltre e ricorrere a quei due machiavellici espedienti di cui, senza falsa modestia, il nostro amato popolo vanta il primato nel mondo: lo scarica barile e il ‘girarsi dall’altra parte’. Onestissimi soldatini di plastica, perfettamente fissati nelle loro pose più icastiche: la testa alta, le spalle larghe, la mano alla tempia in segno di sottomissione anche verso gli ordini più stupidi che vengono impartiti loro da altri onorevoli soldatini col grado più alto. Senza cuore, identità o dignità. Inanimati, inebetiti, indolenti, felicemente prigionieri della loro stessa ignavia e del loro prezioso orgoglio. Nuda e cruda plastica rivestita soltanto dalla stoffa di quelle sontuosissime uniformi color tenebra. 

E nel frattempo i presunti responsabili che fine hanno fatto? Non ci è dato saperlo, anche perché, durante il susseguirsi degli eventi, non compariranno più fisicamente sulla scena. E allora lasciamo pure spazio all’immaginazione: probabilmente potrebbero essere a casa a godersi il resto della serata sul divano davanti alla TV, mentre Stefano si trova in una squallida cella, concio come un piccione spiaccicato sul marciapiede dalla ruota di un autocarro; o, forse, potrebbero essere seduti a tavola a gustarsi le deliziose leccornie che le loro premurose mogliettine hanno loro preparato per farli riprendere dalle estenuanti fatiche accumulate nella giornata di lavoro, mentre Stefano non riesce nemmeno a ingerire un po’ d’acqua; oppure, ancora, potrebbero essere già a letto a svolgere i loro doveri coniugali sotto le lenzuola, mentre Stefano ha un catetere, perché ora non può neanche più espletare i propri bisogni fisici normalmente.

Dedichiamoci ora per un attimo anche alla diversa vicenda invece toccata ai suoi familiari, costretti a non poter né vedere, né stare accanto al figlio moribondo a causa di un sistema maledettamente cavilloso e viziato. E’ possibile infatti notare come i genitori e la sorella tentino a più riprese di poter anche soltanto avere qualche informazione sullo stato di salute del loro caro, finendo, però, per collezionare respinte, insuccessi e porte sbattute in piena faccia. Continue ed irragionevoli richieste di documenti, fogli, permessi e quant’altro, recanti la firma di avvocati, giudici, magistrati, sindaci, presidenti, Topolino, Pippo, Pluto e Paperino, lasciano la famiglia reietta nel buio e nello sconforto più totale. Ma la risposta di questo rispettabilissimo ed efficientissimo Stato che è l’Italia non tarda ad arrivare: papà Giovanni, mamma Rita e la sorella Ilaria ricevono infatti le tanto attese ed, ahimè, uniche notizie quando un ufficiale giudiziario si presenta presso la loro abitazione per notificare l’autorizzazione all’autopsia sul cadavere di Stefano, ormai passato a miglior vita. L’immancabile ciliegina glassata su un’amara torta al gusto di merda, il solenne e conclusivo apogeo di una magniloquente presa per il culo generale, la gag finale perfetta per l’epilogo di un drammatico episodio, che, nonostante sia stata messa a punto col massimo impegno da parte di impietosi ed impuniti saltimbanchi vestiti da gendarmi, non strappa risate comiche, ma solo tanta, tanta collera.

Ilaria Cucchi (Jasmine Trinca), Giovanni Cucchi (Max Tortora) e Rita Calore (Milvia Marigliano) in una scena del film (fonte: dal web)

«Giuro di essere fedele alla Repubblica Italiana, di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina e onore tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere Istituzioni». Questo il giuramento ufficiale di fedeltà delle Forze Armate. Certo, quando si rievocano fatti di cronaca nera di questo genere, il dubbio è lecito: forse che il vecchio testo poc’anzi citato sia stato da poco sostituito con uno nuovo? Magari più corto, più frizzante, più spontaneo: magari lo stesso pronunciato da Harry Potter nel terzo capitolo della saga per poter aprire la Mappa del Malandrino? In questo caso, allora, molti nodi verrebbero al pettine.

Tartaglione Marco