Una via mano inquinante per le merci
La nuova linea del Frejus non è una TAV, come molti sostengono, ma semplicemente una variante di tracciato con un traforo di base e qualche altro aggiornamento di una linea esistente.
Non una questione di tempo ma di inquinamento
E non è una questione di risparmiare un’ora tra Torino e Lione (o tra Milano e Parigi), ma una questione ambientale che riguarda il trasporto merci.
Lo stesso ministro Toninelli ha detto che 2-3000 TIR al giorno passano per l’autostrada del Frejus. Questo traffico impesta tutta la val di Susa con gas di scarico e inquinamento acustico lungo l’autostrada che la percorre in toto. A noi sembrerebbe più sostenibile a livello ambientale che le merci viaggino su di un treno che percorre un tunnel di base senza toccare o quasi le vallate (e producendo meno gas di scarico e particolato). Questo perché nella nuova linea del Frejus i treni sarebbero per lo più merci.
Facciamo alcune considerazioni:
- fra Lotschberg che completa il Sempione, Gottardo/Ceneri, Brennero e Semmering abbiamo in costruzione o finiti 4 nuovi tunnel tra Italia e Germania, costruiti da nazioni abbastanza “parche” nella spesa pubblica, come Svizzera e Austria. Fra Italia e Francia invece dovremmo continuare ad usare solo la gomma (ovviamente riscuotendo le accise sul gasolio n.d.r.).
- la ferrovia attuale ha delle limitazioni di capacità enormi, per via della sua pendenza; impossibile farci passare convogli di 1600 tonnellate, figuriamoci quelli da 2000, nonostante l’impiego di più locomotive (sarebbe come far passare ancora i treni tra Firenze e Bologna sulla vecchia Porrettana). Per questo motivo la linea è poco usata, non per altro.
- il Frejus è un altro tassello, insieme al terzo valico, per cercare di strappare merci ai porti del nord europa (e di conseguenza anche creare lavoro in Italia).
Con carri a 4 assi che hanno una tara media di 26 tonnellate, limitandone il carico volutamente a 54 tonnellate ciascuno per non eccedere le 20/t asse, sopra le quali su alcune linee afferenti potrebbero esserci dei problemi. Consideriamo quindi treni con massa rimorchiata di 2000 tonnellate: in Italia il limite è 1600 ma già adesso le 2000 sono autorizzate, all’estero ci sono “da mò” valori superiori.
Un rapido conto:
- un treno da 25 carri carichi fanno 2000 tonnellate, di cui 650 di tara e 1350 di carico utile.
- 1000 TIR a 26 tonnellate utili trasportate ciascuno fanno 26.000 tonnellate di merce.
Se dal Frejus passano 3000 TIR al giorno, ammesso di sostituirli integralmente, basterebbero 60 treni, 30 in ogni direzione. Tenendo la linea aperta 21 ore con tre ore al giorno di interruzione programmata per la regolare manutenzione, basterebbe un treno ogni 42 minuti per direzione.
Il sistema ferroviario italiano ha chiaramente lo spazio per questi 60 treni, considerando anche la possibilità di usare scali come Orbassano come filtro e polmone.
La differenza sostanziale tra gomma e rotaia non si limita al traffico ma influisce sulla qualità dell’aria
E questo ci fa capire l’enorme differenza di capacità di trasporto fra la rotaia e la gomma: un traffico pesante (anzi, molto pesante) di 3000 TIR al giorno sono circa 1 al minuto per direzione in continuo, contro 1 treno ogni 42 minuti con 3 ore di interruzione programmata al giorno della linea.
Sia chiaro che non esprimiamo un giudizio politico sulle scelte di questa o quella forza politica, questo è un compito che non spetta a noi.
Tuttavia ci premeva riportare queste considerazioni sull’enorme convenienza dell’opera (e del trasposto su rotaia in generale) dal punto di vista ambientale che per noi è di gran il più importante di qualsiasi considerazione di carattere economico.
Come abbiamo già sottolineato più e più volte nei nostri post la questione del cambiamento climatico urge una nuova e più razionale definizione di “impatto” ed una revisione delle priorità di spesa, specialmente, ma non esclusivamente, quando si parla di investimenti pubblici.
Dobbiamo iniziare a cambiare le cose se vogliamo che resti un po’ di pianeta per le future generazioni. Costa fatica mettere in discussione le proprie idee; da scienziati lo sappiamo forse meglio di chiunque altro, ma va fatto se vogliamo vedere il mondo cambiare per il meglio.
Articolo de La Scienza Risponde a cura di Aldo Piombino