Se una volta era normale assistere a uno spettacolo con oltre venti personaggi, oggi è quantomeno una rarità. I problemi sono molteplici, dalle difficoltà economiche delle produzioni all’attenzione del pubblico ormai disabituato a spettacoli di durata superiore alle due ore. Pertanto può definirsi un traguardo utopico il Riccardo III di Marco Carniti, regista teatrale intraprendente, pronto a sfidare la realtà del 2019 con uno Shakespeare incredibilmente fedele negli intenti all’edizione integrale, in scena dal 30 agosto al 15 settembre per la rassegna del Silvano Toti Globe Theatre di Roma.

Uno spettacolo “acceso”

I colori accesi di un accurato gioco di luci destano quel presagio di ostilità capace di creare un’atmosfera adatta alla tragedia che si prospetta. Poi, la sorpresa: un esercito senza volto che guerreggia sotto le maschere della scherma, come a indicare la cecità dell’azione bellica e la deindividuazione degli esecutori, perché in guerra i riflettori puntano esclusivamente sui mandanti, gli uomini di potere.

Il personaggio di Riccardo, interpretato magistralmente da Maurizio Donadoni, costringe lo spettatore a vivere la tragedia come uno scherzo. I suoi modi di fare grotteschi, inopportuni, tra punte di cinismo decorate da un ragionare quasi automatico, sono rafforzati da un dialogare serrato che non consente alcuno spazio a dubbi o perplessità sulle azioni più macabre; contrasto ben visibile nell’umanità degli altri personaggi. Cosa ti sto chiedendo? Niente! È la sua protesta a fronte delle titubanze di Buckingham – un bravissimo Gianluigi Fogacci – sull’agghiacciante proposito di assassinare i suoi nipoti.

Una scena del Riccardo III. Photo Credit: marcocarniti.comCarniti
Una scena del Riccardo III. Photo Credit: marcocarniti.com

Dunque, il Riccardo di Carniti non conosce umanità e tenta di colmare il vuoto con il potere, ma neanche coraggio: dal tormento degli incubi alla famigerata frase Il mio regno per un cavallo!, spicca la viltà di chi non ha conosciuto altra strada che l’inganno. Dopo le azioni più cruente e spietate, quando l’uomo oltrepassa il limite della propria immaginazione, il simbolismo raggiunge l’apice della presenza scenica con un’efficace scelta degli oggetti scenici, come un’incisione di ghiaccio che ricorda la fanciullezza e richiama la scena madre di un capolavoro della cinematografia come Quarto potere di Orson Welles.

Atmosfera eschilea

L’interpretazione di Donadoni rende Riccardo un personaggio eschileo, privo di sottigliezze moderne che allontanerebbero l’aura mitologica che la regia di Carniti intende accostare allo spettacolo. Infatti, la disperazione di ogni personaggio sembra collocarsi in un retaggio antico, in primis la straordinaria Melania Giglio, nei panni di una Regina Margherita posseduta dall’ira e da una ferocia ancestrale, quasi selvaggia.

Una scena del Riccardo III. Photo Credit: marcocarniti.comCarniti
Una scena del Riccardo III. Photo Credit: marcocarniti.com

Sulla scena, in contrapposizione all’abbandono dilagante della razionalità, calca la bravura di Patrizio Cigliano nei panni di Lord Hastings, unico lucido punto di riferimento per un pubblico avvolto dalla liberazione di ogni istinto primordiale.

Dietro le quinte

A fianco di Marco Carniti e del cast, degli abilissimi operatori dietro le quinte che assumono un ruolo di primo piano: Maria Stella Taccone (aiuto regia), David Barittoni (musiche), Maria Filippi (costumi), Stefano Cianfichi (direzione tecnica), Umile Vainieri (disegno luci), Franco Patimo (disegno audio), Francesco Lonano (assistente alla regia), Fabiana Di Marco (scene), Donatella Boschetti (assistente costumista), Renzo Musumeci Greco (maestro d’armi), Francesca della Monica (vocal coach).

La traduzione e l’adattamento dell’opera del Bardo è a cura dello stesso Carniti, trionfante restauratore di una forma teatrale che oggi non può che essere definita coraggiosa, in un’epoca in cui vige la pretesa di dare un tempo al Teatro, sia esso nella durata della rappresentazione che nell’arco temporale di un allestimento. Marco Carniti, con il suo Riccardo III, ha dimostrato l’immortalità senza tempo del palcoscenico.