Un ciclone imprevedibile e furioso sta scombinando disordinatamente i palinsesti cinematografici. Slittamenti olimpici e inevitabili ammassi stanno frastornando le distribuzioni di tutto il mondo alle prese con un fenomeno che di certo ha conseguenze estremamente peggiori ma che non colpisce solamente le persone. “The French Dispatch” è l’ennesimo tassello di una crisi da marginare.
Ancora doverosi rinvii e slittamenti.
Wes Anderson, reduce dall’animato “L’isola dei cani”, era tornato al lungometraggio dal vero dopo il successo del magnifico “Grand Budapest Hotel”. Dell’ultimo atteso, ambientato in Francia con un cast di habituè e non, si assaporava gìa lo stile straordinario dell’autore americano. Questo terribile, odioso, bastardo Covid-19 ha costretto la Disney a posticipare l’uscita del decimo film del regista texano dal 24 luglio al 16 ottobre. Scelta ovvia visti i recenti oceanografici contagi di cui gli Stati Uniti non sono ancora riusciti a dare un stretta.
“The French Dispatch” è un atto d’amore verso il giornalismo e verso la libertà che rappresenta, patinato dall’ironia iconica e delicata di Wes Anderson.
La storia si dipana intorno ai corrispondenti di un magazine settimanale di una piccola, fittizia cittadina francese, il “The French Dispatch”, la versione trasalpina del “Kansas Evening Sun”. Il settimanale argomenta di temi disparati dalla politica all’arte, dalla moda ai drink di qualità. Girato in bianco e nero e a colori il cast è vistosissimo e comprende: Bill Murray, Tilda Swinton, Jeffrey Wright, Adrien Brody, Frances McDormand, Benicio Del Toro, Owen Wilson, Léa Seydoux, Timothée Chalamet, Stephen Park, Mathieu Amalric ma anche Liev Schreiber, Elizabeth Moss, Edward Norton, Willem Dafoe e anche altri.
L’attesa è enorme, ma è necessaria. Organizzarsi e contenere. E d’altronde l’attesa del piacere è il piacere stesso. Ancora abbiamo la possibilità di testarne la veridicità. Noi ai posteri stavolta, ma a noi l’ardua sentenza. State a casa.
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