Questa sera su Rai 1 alle 21:10, va in onda “The Help”, pellicola scritta e diretta nel 2011 dal regista Tate Taylor, interpretata da Emma Stone, Viola Davis, Bryce Dallas Howard, Jessica Chastain, Octavia Spencer che vince l’Oscar come migliore attrice non protagonista. Un cast al femminile per raccontare la storia di segregazione raziale, ambizione e riscatto dal pregiudizio dilagante negli Stati Uniti degli anni Sessanta. Tratta dall’omonimo bestseller del 2009 di Kathryn Stockett, amica d’infanzia di Taylor.
Il film ha ottenuto un enorme successo al botteghino (incassa 160 milioni di dollari solo negli Stati Uniti), e si rivela oggi uno dei film più visti su Netflix da un’America (e non solo), che sta tentando di rieducarsi e rifondare l’informazione sul razzismo sistematico, attraverso la letteratura e il cinema. Uno slancio seguito ai tragici avvenimenti recenti, l’assassinio di George Floyd e il sorgere del movimento Black Lives Matter in tutto il mondo. Ma l’autenticità dello sguardo offerto da “The Help” sull’ingiustizia razziale, è stato oggetto di opinioni alquanto discordanti. Il problema sarebbe innanzitutto di prospettiva.
La trama
1963. Jackson, Sud degli Stati Uniti d’America. Eugenia Phelan (Emma Stone), soprannominata Skeeter è una giovane ragazza bianca, aspirante scrittrice, figlia di facoltosi proprietari terrieri. Dopo la laurea, torna nel Mississippi e si rende progressivamente conto dell’anacronistico sostrato di razzismo radicato di cui è ancora intrisa la piccola realtà del sud. Skeeter, a differenza delle sue coetanee, non è ancora sposata e non ha intenzione di assecondare il volere della madre che la vorrebbe accasata.
Per Skeeter la carriera viene prima di ogni altra cosa. La giovane scrittrice decide di raccogliere le testimonianze delle cameriere afroamericane, avvalendosi dell’aiuto della domestica Aibileen (interpretata da Viola Davis) e l’amica Minny (Octavia Spencer), licenziata dalla crudele Hilly (Bryce Dallas Howard) per aver usato il bagno. Conquistando sempre più la loro fiducia, riuscirà a rendere pubbliche le umiliazioni e le condizioni degradanti che queste donne nere subiscono dai bianchi e al tempo stesso a scrivere il suo primo libro. Pubblicato tra lo sconcerto di molti.
Perché Viola Davis si è pentita di aver fatto The Help
Il film vuole documentare la mentalità retrograda e il grado di pregiudizio razziale in uno Stato del Sud degli USA degli anni Sessanta, in cui le idee segregazioniste imperano ancora. E si propone di raggiungere tale scopo, con una storia che sa anche avere momenti di lieve umorismo, non rinunciando all’intrattenimento. E’ proprio il mix perfetto tra comicità e severità dell’argomento affrontato, unite alle eccezionali interpretazioni delle attrici, a garantire alla pellicola un successo pari al romanzo (che rimane in vetta alle classifiche del New York Times per 103 settimane). Connubio decisivo anche per le numerose candidature agli Oscar, di cui Octavia Spencer ottiene il riconoscimento.
Eppure, è Viola Davis, una delle protagoniste, più avanti nella sua carriera, ad ammettere di essersi pentita di aver partecipato alla realizzazione del film. Il motivo ruota intorno alla prospettiva da cui lo stereotipo dovrebbe essere demolito e che invece risulta opposta ad uno sguardo sui soprusi del razzismo verso gli afroamericani, che si riveli non tanto ‘più giusto’ ma quanto più autentico. “The Help” racconta la storia di una privilegiata ragazza bianca che per la Davis non fa altro che alimentare il mito del ‘Salvatore bianco’ e intensificare quello razzista della figura della ‘Mammy nera’ attraverso i personaggi stereotipati delle cameriere.
“Il problema è che non ci sono molte narrazioni che coinvolgano anche la nostra umanità. Hollywood sta investendo sull’idea di cosa significhi essere neri, ma… È un servizio pensato per il pubblico bianco. Al massimo il pubblico bianco può starsene seduto e ricevere una lezione accademica su cosa siamo. Poi lasciano il cinema e parlano di quello che ha significato. Non sono commossi da chi siamo.”
Rivela l’attrice in un’intervista e precisa in seguito:
“Mi sentivo come se, alla fine della giornata, non fossero le voci delle cameriere quelle ad essere ascoltate. Conosco Aibileen. Conosco Minny. Sono mia nonna. Sono mia mamma. E so che se fai un film dove l’intera premessa è: ‘Voglio sapere come è lavorare per bianchi e crescere i loro figli nel 1963. Voglio sentire come ti senti davvero’. E questo non l’ho mai sentito nel corso del film.”
Daniel Hunt, professore di sociologia e di Storia Afroamericana all’UCLA, spiega come “The help” tenda ad appiattire la considerazione dei vari elementi che hanno impatto sul ‘modo’ in cui il concetto di razzismo funziona effettivamente. Per lo studioso, il film limiterebbe il razzismo agli individui in opposizione al razzismo sistematico e al modo in cui esso funziona in una società.
Arianna Panieri
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