The Killer è una creatura alquanto strana. È il riflesso del suo regista. A immagine e somiglianza di un Fincher che sembra quasi riflettere sulla sua stessa filmografia. È anche un po’ il figlio e la somma di quella mano registica così tanto riconoscibile. E sono anni che Fincher covava dentro di sé questo The Killer che, tra rimbalzi e cambi produttivi, è uscito dalla gestazione solamente nel 2019 con Netflix. Girato in post-pandemia, è l’ennesimo affresco glaciale e disinteressato di un regista che, attraverso un personaggio che non trasmette una singola emozione per tutte le due ore, sa guardare dentro l’autore e un po’ anche dentro di noi. Imprescindibile, come in tutta la filmografia Fincheria, la discussione e il ragionamento sull’identità contemporanea e su di una società in continua mutazione. In Fight Club l’argomento erano gli uffici e la vita inscatolata da IKEA. In Panic Room si virava sulla sorveglianza e la sicurezza. E in The Killer si parla di un nuovo modo di interfacciarsi ai rapporti umani. E nessuno di noi è escluso.

The Killer: un sicario può fallire?

The Killer: Micheal Fassbender in una scena del film

Il personaggio interpretato da Micheal Fassbender è un killer senza nome. Passa il suo tempo in attesa dentro una stanza buia smontando e rimontando il suo fucile. Pensa e ripensa in un flusso di coscienza il cui accesso ci è consentito attraverso la voce narrante. Ma l’unica cosa che ha in mente è la sua prossima vittima. È freddo, calcolatore, cinico e non ha nessun interesse nei confronti di quello che sta facendo. Uccide perché deve farlo, perché è il suo lavoro. E proprio come lo sguardo voyeuristico di James Stewart, passivamente guarda fuori dalla finestra le vite parigine scorrere inesorabili ora dopo ora. E se quello de La finestra sul cortile è uno sguardo passivo per definizione ma attivo per il trasporto emotivo che c’è dietro, quello del Killer di Fincher raggiunge un nuovo livello di passività: la totale indifferenza. Ma arriva il momento di completare il lavoro, l’obiettivo è arrivato. Proprio nell’istante di premere il grilletto, una donna (un danno collaterale “rischio del mestiere” come viene definita da lui stesso) si frappone tra il proiettile e la vittima. Il lavoro non è andato a buon fine. Il killer torna così ad uno dei suoi nascondigli nella Repubblica Domenicana per scoprire che la sua ragazza è stata quasi uccisa da due sicari inviati da Hodges, il suo “datore di lavoro”. Inizia così una ricerca spietata dei due sicari e del mandante dell’assassinio andato male.

Linearità sorprendente

Fincher gira un film che a livello tecnico è ovviamente impeccabile. Narra la storia di un sicario diverso da quelli a cui siamo abituati recentemente. Diverso dall’azione di un John Wick o dalla morale distorta di un Anton Chigurh di Non è un paese per vecchi. È glaciale, freddo, impassibile e totalmente imperturbabile. E l’interpretazione che Fassbender da al volto del killer è fenomenale. Parla poco come lo stuntman di Ryan Gosling in Drive e, proprio come lui, lavora quasi esclusivamente sulla mimica. E fredda è la messa in scena di Fincher, il cui tocco registico è riconoscibile tra milioni. In questo caso, la regia è ancora più asciutta, fredda e distaccata, a voler accompagnare il suo protagonista. Lineare proprio come la sceneggiatura di Andrew Kevin Walker. E The Killer nella sua linearità è sorprendente. Persino la sua divisione in capitoli è lineare e segue un flusso quasi necessario degli eventi. Sorprende nella misura in cui è chiaro e limpido quello che sta per succedere ma, da spettatori, ci aspettiamo sempre un cambiamento negli atteggiamenti del nostro protagonista. Ma rimangono ferrei, immobili e il continuo flusso di coscienza ripetuto quasi come un mantra è un ennesimo monito che ci dice “così è come agisco e come continuerò a fare”. Ed è forse, da un lato, un problema. Se l’intenzione è quella di costruire un personaggio che rappresenti un sicario molto Melvilliano, quasi alla Alain Delon, viene a mancare la possibilità di immedesimazione. Risultano più convincenti, per lo spettatore, i personaggi secondari o le stesse vittime. La faccia di bronzo di Fassbender è quindi croce e delizia di un revenge movie. Di certo lontano dal miglior Fincher, ma ugualmente lontano dal peggiore. Glaciale anche in questo.

Alessandro Libianchi

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