Cinema

“The power of the dog” e la vulnerabilità del maschilismo tossico

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The Power of the Dog: il potere di chi sa andare oltre le apparenze.
Si apre il secondo giorno di Venezia 78: tra i titoli in concorso anche l’attesissimo dramma diretto dall’australiana Jane Campion, che ha adattato l’omonimo libro del 1967 di Thomas Savage.

La regista australiana, nota per essere stata la prima donna a ricevere un Golden Globe, ha presentato in conferenza stampa la sua ultima creazione.
Insieme a lei c’erano anche Kristen Dunst e Benedict Cumberbatch, protagonisti indiscussi del film, e i produttori Roger Frappier, Ian Canning e Tanya Seghatchian. Le parole di Savage hanno indotto una riflessione profonda sulla Campion, fino ad insinuare in lei l’urgenza di volerne fare qualcosa di più. Come ha dichiarato lei stessa: “Dopo averlo letto ho iniziato a pensarci sempre di più”.

The Power of the Dog è la svolta di Jane Campion

Questo racconto si allontana dai soggetti a cui la registra e sceneggiatrice aveva abituato il suo pubblico. In The Power of the Dog non è l’universo femminile ad essere protagonista, se mai il maschilismo tossico che emerge dai comportamenti di Phil Burbank (Benedict Cumberbatch), proprietario del ranch di famiglia che non accetta l’inaspettato matrimonio del fratello George (Jesse Plemonds) con la vedova Rose (Kristen Dunst).

Rispetto a questa scelta nessuna strategia, semmai la profonda convinzione della donna di dover portare in sala una storia del genere. Come lei stessa ha dichiarato: “Sono una persona creativa, non ho calcolato le percentuali di genere. Ho pensato che il libro fosse bellissimo, ha avuto un effetto fortissimo su di me: ho viaggiato nell’ultima parte, è stato emozionante. Non sono riuscita a dimenticarlo, lavora sulla psiche, sicché lentamente ho mosso i primi passi verso la creazione del film. E l’abbiamo fatto”.

Il britannico Cumberbatch, che in questo film in concorso vediamo nel ruolo del “cattivo ragazzo”, ha voluto fare una riflessione sul carattere del suo personaggio, bullo e arrogante nei confronti di Rose e dell’effeminato figlio Peter (Kodi Smit-McPhee): “Il maschilismo tossico che caratterizza Phil è il risultato di come è cresciuto, emerge momento dopo momento: lo capisco, non giudico né condivido, ma lo capisco. Che non abbia redenzione fa parte di quel che è, è la sua tragedia personale: sta sulla difensiva, è solo, oppresso; non ho mai pensato che ci sia autenticità nella sua vita. Il maschilismo tossico lo riconosci, persone danneggiate danneggiano gli altri, anche i politici lo fanno: ognuno deve affrontare i propri problemi, non rinchiudere il mostro e buttare via la chiave”.

Lo stesso dolore e i desideri repressi di Phil si riflettono sul personaggio di Rose, che per dimenticare di esserci si abbandona all’alcol.
Per immedesimarsi nel personaggio Kirsten, avendo girato le scene in separata sede rispetto a Cumberbatch, ha dovuto creare i suoi demoni e cercare di rappresentare tutto ciò che tormenta interiormente il personaggio di Phil. Nel farlo ha avuto massima libertà da parte della regista, per la quale ha speso parole di ammirazione: “C’è in Jane qualcosa di sensuale, nei suoi film. La sensibilità, la profondità del suo lavoro, i suoi personaggi femminili, attrici e performance a cui aspiri”. Rose mi interessava molto come donna, sicché ho amplificato il ruolo. Una donna del 1925, la mancanza di fiducia, la vergogna trovano l’unica soluzione nell’alcool: Savage ha sviluppato con intelligenza il tema dell’isolamento”.

A fare da sfondo a questo dramma un paesaggio maestoso e mozzafiato. Il west americano del Montana incontra le distese dorate della Nuova Zelanda, Paese meraviglioso dove sono state girate parte delle riprese. A definire ancora meglio le atmosfere c’è la musica di Jonny Greenwood che, come ha voluto ricordare la regista: “ti porta in alto, come nei momenti indimenticabili della vita”.
Campion ha, inoltre, ringraziato Netflix per averla assecondata senza limiti nella realizzazione dei suoi progetti.

Marta Millauro

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Ph: orgoglionerd.it

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