Compie oggi 38 anni una leggenda dei San Antonio Spurs e di tutta l’NBA, Tony Parker. Talento sublime, velocità devastante e intelligenza sopraffina lo hanno reso uno dei più vincenti e importanti interpreti del gioco. Spesso sottovalutato e molte volte in ombra rispetto agli altri due Big Three di San Antonio, Parker è indubbiamente una delle più forti point guard degli ultimi 20 anni e a mani basse il più forte giocatore francese della storia.
I primi anni in Francia e il passaggio all’NBA
Nonostante sia figlio di un giocatore di basket – il papà, Tony Senior, per una decina d’anni si è diviso tra Francia e Belgio – a Tony Jr piace di più il calcio. A fargli cambiare idea ci pensa però uno di cui si sta parlando tanto in queste settimane, Michael Jordan. Durante un viaggio estivo a Chicago, città natale del padre, vede giocare MJ e ne rimane folgorato. Dai piedi allora passa a tenere la palla (un po’ più grande) tra le mani. Il risultato non è per niente male e a 17 anni firma con il Paris Basket Racing. La svolta della carriera arriva un anno dopo quando vola di nuovo oltreoceano per il Nike Hoop Summit, partita che vede contrapposti talenti del basket americano e internazionale.
Due anni prima un giovane tedesco di nome Dirk aveva realizzato un record di 33 punti facendosi notare dagli scout; sorte simile toccò anche Tony Parker, che con 20 punti, 7 assist e 4 rimbalzi attira l’attenzione di tanti, compresi gli osservatori di UCLA. Tony è consapevole del suo talento, conosce le sue potenzialità e sa che può farcela. A Claude Bergeaud, suo allenatore nelle selezioni giovanili della nazionale francese, dirà “Giocherò in NBA e un giorno la Francia mi riconoscerà come un grande giocatore“. Prima di rendersi eleggibile per il Draft 2001 però decide di non andare al college, preferendo giocare un altro anno a Parigi.
Forse fu anche questa scelta che fece scendere le sue quotazioni in vista del Draft. Parker infatti verrà scelto alla fine del primo giro con la 28esima chiamata, anche se al primo workout per gli Spurs il giovane francese non aveva proprio fatto impazzire Popovich. Piuttosto era stato Lance Blanks – ex giocatore messogli difronte nel workout – a far impazzire Parker; coach Pop però aveva deciso di concedere una seconda chance che il nativo di Bruges non si fa sfuggire. Tony Parker diventa così il terzo giocatore francese a entrare nella lega americana.
I primi anni e i primi titoli
Con uno dei frontcourt più forti della storia, lo spazio per il backcourt dei San Antonio Spurs era dominato da figure non eccelse, come quella di Antonio Daniels. Tony Parker allora si confermerà da lì a poco una manna dal cielo per Popovich, la spalla ideale per un Tim Duncan che da lì a poco sarebbe diventato orfano dell’altra Twin Tower, David Robinson. E infatti già alla stagione da rookie Parker gioca 77 partite, 72 delle quali partendo in quintetto. Le sue medie stagionali non sono niente di eccezionale ma ugualmente importanti: 9.2 punti, 2.1 rimbalzi, 4.3 assist e 1.2 palle rubate, guidando la squadra in queste due ultime voci statistiche.
Non male per uno bistrattato al Draft e che diventerà la prima guardia nata fuori dal suolo americano a essere incluso nel primo quintetto Rookie. Nella stagione successiva parte nello starting five in tutte e 82 le partite di regular season, durante le quali incrementa notevolmente i suoi numeri; per lui saranno 15.5 punti, 2.6 rimbalzi e 5.3 assist con cui contribuì non poco alle 60 vittorie in stagione regolare dei texani. Ai playoff mantiene pressoché medie simili a quelle della regular season, approdando per la prima volta in carriera alle Finals. Qui l’avversario si chiama New Jersey Nets, e nel caso specifico di Tony Parker, Jason Kidd.
Un banco di prova niente male per un ventunenne. Dalla propria però Parker ha Tim Duncan, che domina in quelle finali e porta a San Antonio il secondo titolo della storia e a Tony il primo dei suoi quattro anelli. Il secondo arriverà due anni dopo, quando gli Spurs negano il repeat ai Pistons di Chauncey Billups. Parker non eccelle, ma questa volta affianco a Duncan c’è un Manu Ginobili nettamente più decisivo rispetto a quello visto due anni prima. Tony invece appare di nuovo in secondo piano rispetto ai compagni, e non solo a loro.
Non c’è due senza tre (e quattro)
Nonostante Tony Parker sia chiaramente un pilastro di una squadra magnifica in grado di essere competitiva in modo continuativo, molti non gli danno ancora la considerazione che meriterebbe. Oltre l’ombra dei compagni Duncan e Ginobili, sul francese incombono quelle degli altri playmaker della lega. Ci sono i veterani Steve Nash (MVP nel 2005 e nel 2006) e Jason Kidd e poi ci sono due astri nascenti che a furia di dimes stanno scalando vertiginosamente le gerarchie NBA, Chris Paul e Deron Williams. Eppure Parker ha una cosa (anzi due) che tutti questi non hanno: l’anello. Cosa manca, allora?
Riconoscimenti individuali e numeri importanti. A partire dalla stagione 2005-2006 Parker ottiene entrambi. In quella stagione si aggiudica la sua prima convocazione all’All Star Game e in quella successiva diventa il primo giocatore europeo a vincere il titolo di MVP delle Finals. Contro i Cleveland Cavaliers di Lebron James il play francese segna una media di 24.5 punti a partita (tirando quasi col 57% dal campo) e trascina gli Spurs al quarto titolo. Nel 2009, a fronte di una stagione da career high – sia per punti in una singola partita (55) sia per media in una singola stagione (22) – Parker viene inserito per la prima volta in un quintetto (il terzo) All-NBA.
Nel 2013 vive probabilmente la sua migliore stagione individuale, viaggiando a una media di 20.3 punti, 3 rimbalzi e 7.6 assist. Quell’anno inoltre vince l’oro agli Europei con la nazionale francese (aggiudicandosi anche il titolo di MVP del torneo), fa parte del secondo quintetto NBA e sfiora il quarto titolo perdendo a gara 7 contro i Miami Heat. La rivincita però se la prende l’anno successivo, quando guida ancora per punti gli Spurs che vincono la serie in 5 partite. È quarto anello ma non secondo MVP delle finali; quell’anno lo vinse un giovane e già grande Kawhi Leonard.
Il ritiro e la carriera da dirigente
Quella fu l’ultima vera grande stagione degli Spurs. Sì, nel 2017 arriva la finale di Conference persa con Golden State, ma il ritiro di Duncan l’anno prima e la non più giovane età di Parker e Ginobili (rispettivamente 35 e 40 anni) fanno pensare alla fine di un’era. Ed effettivamente è così, quando la stagione dopo arriva anche l’addio di Tony e Manu. L’argentino si ritira definitivamente, mentre il francese decide di giocare un’ultima stagione lontano dal Texas. La scelta ricade sulla squadra di proprietà del suo idolo Michael Jordan, i Charlotte Hornets. Qui Parker gioca 56 partite segnando 9.5 punti di media. Il vecchio Tony Parker non c’è più, lui se ne rende conto e quindi decide di lasciare la pallacanestro giocata.
Non la pallacanestro in generale, perché Parker dal 2014 è anche presidente dell’ASVEL, squadra campione in carica del Pro A francese. Con la squadra di Lione però Parker ci aveva avuto a che fare prima nel 2009, quando aveva acquisito il 20% della proprietà, e poi nel 2011, quando nel periodo di Lockout ci giocò per otto partite percependo uno stipendio di appena 2000 dollari al mese. Adesso tra piani di Tony ci sarebbe anche quello di diventare presidente di un’altra squadra di Lione, quella di calcio, e magari possedere anche una franchigia NBA. Se a livello dirigenziale affronta le sfide come le affrontava da giocatore sul parquet, allora non si possono avere molti dubbi sul suo futuro successo.