Torino: condannata la direttrice che ha costretto alle dimissioni l’insegnante vittima di revenge porn

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Di Redazione Metropolitan

Risalgono al 2018 i fatti che hanno portato alla sentenza di oggi. La condanna grava sul capo della direttrice dell’istituto e di tutti gli altri “lupi cattivi”, carnefici della vicenda e altrettanto colpevoli di un comportamento oggi più che mai inaccettabile.

Era l’ennesimo episodio di revenge porn e si è consumato in un piccolo paese nella provincia di Torino. La vittima è una giovane maestra d’asilo poco più che ventenne. La ragazza è stata costretta a rassegnare le dimissioni a causa della diffusione, senza il suo consenso, di fotografie e video intimi per mano del suo ex fidanzato. Oggi, la sentenza: la direttrice dell’istituto è stata condannata a un anno e un mese di reclusione per diffamazione e violenza privata (provvisionale di 7.500 euro).

Lupi cattivi”, è così che la stessa direttrice definisce anche gli altri carnefici coinvolti nella storia, i quali dovranno altresì scontare le loro pene. La direttrice sostiene che sia “una storia raccontata male”, ma la realtà è che non si tratta di nulla di diverso del solito. Nonostante la soddisfazione di aver trovato giustizia, questa è un’altra vicenda che lascia con l’amaro in bocca per la consapevolezza che nemmeno stavolta questa società sia stata in grado di crescere. Ancora adesso, la ragazza non ha un lavoro e sembra assurdo che ci si debba sentire giudicati per quanto si fa nella propria sfera più intima.

La vicenda

I fatti risalgono alla primavera del 2018: la ragazza ha dovuto rassegnare le dimissioni e abbandonare il suo lavoro perché il suo ex fidanzato ha condiviso con gli amici 18 fotografie e due video intimi che lei gli aveva mandato durante la relazione. Una sola richiesta si allegava a questo materiale: “tienile per te”. La storia, però, ha seguito il suo classico e malato corso: una volta separati, il ragazzo inoltra le foto sulla chat degli amici del calcetto e da lì perdono il controllo. Su un’immagine appare il nome della ragazza e questa arriva sotto gli occhi di un genitore che riconosce l’insegnante della figlia, così manda a sua volta il materiale alla moglie e in pochissimo tempo lo “scandalo” è sulla bocca di tutti.

Da questo momento in poi la ragazza è sottoposta a quella che il pm Chiara Canepa ha definito una “gogna scolastica”: un’umiliazione senza precedenti culminata nella richiesta delle dimissioni da parte della direttrice della scuola. La donna, infatti, senza troppi giri di parole le fa capire che se non avesse abbandonato il suo posto, sarebbe stata costretta a licenziarla indicando il motivo della cessazione del rapporto di lavoro. L’evento, in pratica, l’avrebbe segnata a vita e sarebbe stata una lettera scarlatta che le avrebbe creato difficoltà anche a cercare nuove occupazioni. “Non troverai lavora neanche a pulire i cessi di Porta Nuova”, le dice. “Avrai sempre un tatuaggio”.

La sentenza

L’insegnante in un primo momento firma le dimissioni, ma qualcosa le fa cambiare idea e questa scelta non piace alla direttrice, che si rivolge alle altre insegnanti della scuola con un messaggio vocale in cui chiede “dovete aiutarmi a farla sbagliare, così posso mandarla via. Vi prego, fatemi questo favore. Ce l’ho a morte con lei”. In aula le voci delle testimonianze sfumano giustificate dallo scorrere del tempo, ma ciò non basta a far cadere la vicenda nel buio e la verità emerge.

Condannata a un anno e un mese la direttrice della scuola, a un anno una mamma di una bambina che frequentava l’asilo che ha diffuso un collage con le foto. 8 mesi per una collega e amica della vittima, che ha mostrato le immagini ad altre educatrici. Quanto all’ex fidanzato, se l’è cavata con un anno di lavori socialmente utili mentre l’amico del calcetto che ha riconosciuto nella ragazza la maestra d’asilo di sua figlia è stata prevista l’assoluzione.

Se è vero che giustizia è stata fatta, e questo lascia sempre un’immagine di speranza, è anche vero che la ragazza ha passato anni a nascondersi nella sofferenza più totale. Incrinati i rapporti con la famiglia e allontanata da tutti, ha trovato conforto solo in poche persone e nel supporto psicologico. Una mamma che per mesi le è stata accanto racconta: “Mi ha detto che si voleva ammazzare, tanta era la vergogna”.