Totò, modestamente, principe della risata

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Di Federica De Candia

Ci sono uomini, caporali, senza dimenticare che signori si nasce. Siamo tutti fatti di carne, ma solo gli sprovveduti, che mancano di riferimenti storici, sono caduti nello sbaglio di non chiamarlo principe. Passi pure il ‘lei’, per gli amici e colleghi. Ma sul titolo non si può trascendere: tre sentenze in tribunale che lo autorizzarono a fregiarsi di più onorificenze, tra cui, anche , altezza imperiale. Antonio de Curtis, è soltanto Totò. Per i cuori nobili d’amore che l’hanno amato.

Per far ridere molti hanno bisogno di qualche vistoso e riconoscibile ‘difetto’ umano. Ma Totò era un personaggio lui stesso. Sebbene la natura, con una precisa intenzione, l’avesse dotato di una faccia non comune; e si era sbizzarrita nella struttura muscolare, dandogli la capacità di allungare e ritrarre il collo, di muovere il bacino e i reni, vivace come un fringuello. Mobile anche nelle espressioni. Abitava a via dei Monti Parioli, a Roma. E, parola di chi lo vedeva, al civico 42 di casa sua, non appariva l’allegro comico del cinema. Ma un signore distinto, compito, quasi serioso. Da principe recitava, ma anche si muoveva. Tra un inchino e una piroetta, ti dimostrava tutta la sua disponibilità. L’eleganza era regale, e non tradita dal suo accento Napoletano. “Il napoletano lo si capisce subito da come si comporta, da come riesce a vivere senza una lira“. Pensieri suoi, nobili altrettanto.

Totò – “Noi duri”, film 1960 – Scena, La dogana- Video YouTube

E’ la somma che fa il totale

“Noi attori siamo solo venditori di chiacchiere”. Ammise negli anni Totò. Riconoscendo, con apprezzata sincerità, che tra oltre cento suoi film girati, pochi erano da salvare. Ma era quasi cieco, forse stanco, e non si rendeva conto della sua grandezza. I produttori lo volevano in ogni copione, e le platee erano avvinte da lui. Nato per far ridere, non vi era bisogno d’insegnargli il mestiere. Recitava d’istinto, e questo arrivava dall’altra parte dello schermo. La sua natura non ingannava, ma attraeva. Lui non ripeteva le scene da girare, ma veniva lasciato libero d’improvvisare. “Di notte, quando sono al letto, nel buio della mia camera, sento due occhi che mi fissano, mi scrutano, mi interrogano, sono gli occhi della mia coscienza“. E nulla poteva rimproverargli nella carriera d’attore.

Un popolano, Totò. Come i Beatles: chiedi chi erano e ti risponderanno. Anche le nuove generazioni hanno giocato con la sua miniatura alla pulcinella. Hanno riso di quella bombetta in testa nera come le sue occhiaie. Ma lui si dedicò con impegno anche a sceneggiature più serie, come quella di Pasolini, “Uccellacci, uccellini“. E si meritò il Nastro d’argento per quella parte di fraticello che parlava con gli uccelli. L’ispirazione Francescana, con un candore che convinse i critici. Una svolta nei ruoli drammatici, sullo schermo, e nella vita cambiò casa romana. Si trasferì a viale Bruno Buozzi. Ma il principe partenopeo, nonché imperatore di Capri, non sarebbe stato lui, se non fosse mai stato innamorato…

Toto’, Fabrizi e i giovani d’oggi- Pranzo tra i Cocozza e i D’Amore – Video YouTube

Quante malafemmene a Totò…

“A sera quanno ‘o sole se nne trase e dà ‘a cunzegna a luna p’ ‘a nuttata, lle dice dinto ‘a recchia- “I’ vaco ‘a casa: t’arraccumanno tutt’ ‘e nnammurate”. Qualunque donna vorrebbe essere stata la destinataria, l’ispiratrice di una poesia di Totò. Placido romanziere di almeno milioni di parole. Che fece in versi, dedicandoli ‘alla cosa più bella che inventò il Signore dalla costola di Adamo‘. Forse Anna Magnani, forse Silvana Pampanini, ma l’ultimo amore della vita fu Franca Fialdini. L’aveva corteggiata con le sue leggendarie galanterie, nonostante la differenza d’età, 33 anni. E che non volle mai diventare sua moglie sulle carte, per dimostrare all’uomo che amava, che gli era vicina solo per sentimento. Di null’altro aveva bisogno. E forse, per una volta, la dichiarazione d’amore, la fece lei a lui.  

“E io pago!”. Nobiltà e avarizia. Furono le costanti nella vita di Totò. Anche le dicerie hanno un prezzo, e hanno rischiato di scalfire l’indole generosa del principe de Curtis. Perché la sua avarizia, era solo da commedia, recitata. Aveva le tasche piene per gli altri! Il portiere del suo palazzo raccontò, che Totò si lamentava delle troppe luci accese. Dei lampadari lasciati illuminati nel condominio. Una parte ironica, di chi fa l’attore anche nella vita. Che smentiva quando alla stazione regalava ai facchini, ben dieci mila lire a valigia. Si leggeva, in una tra le più belle corone deposte al suo funerale, ‘I facchini di Termini‘.

Federica De Candia per MMI e Metropolitan Cinema.