Era attesissima la sentenza della Corte di Assise di Palermo sulla c.d. “Trattativa Stato-Mafia” che ha riguardato gli anni di governo ’92 e ’93, con ulteriori strascichi successivi. Dopo cinque anni di processo, il pool di magistrati che ha condotto il processo hanno emesso sentenza.
La Corte di Assise di Palermo ha emesso un dispositivo con il quale condanna, ad una pena che varia tra gli 8 e 28 anni, i responsabili, quelli ancora in vita o non salvati dalla prescrizione, di quella trattativa/minaccia che i vertici di Cosa Nostra cercarono, con parziale successo, di incardinare con alcuni esponenti delle istituzioni tra il 1992 e 1993, cercando di raggiungere un compromesso per ridurre la forte attività dell’antimafia di quegli anni, a partire dalle condanne al 41bis a cui erano stati relegati diversi capi mafiosi. Nei casi in cui le trattative non raggiunsero il risultato sperato, i membri delle istituzioni non accondiscendenti o di intralcio furono barbaramente uccisi.
Sono stati condannati a 12 anni gli ex vertici del Ros Mario Mori e Antonio Subranni per minaccia a corpo politico dello Stato. Stessa pena per l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, considerato il ponte tra la politica, la mafia e le istituzioni, già in carcere per un altro processo. Condannato a 28 anni, sempre per lo stesso reato, il capo mafia Leoluca Bagarella, mentre 12 anni per il boss Antonino Cinà. Otto anni all’ex ufficiale del Ros Giuseppe De Donno, gli stessi previsti per Massimo Ciancimino, condannato però per concorso in associazione mafiosa e calunnia dell’ex capo della polizia De Gennaro.
Tutti i condannati dovranno anche risarcire, in solido, lo Stato con dieci milioni di Euro nei confronti del Consiglio dei Ministri.
Nessuna condanna, invece, per l’ex Ministro dell’Interno Nicola Mancino, completamente assolto dall’accusa di falsa testimonianza.
“Relegato per anni in un angolo, posso ora dire di non aver atteso invano. Ma che sofferenza… – ha commentato Mancino -. Ho sempre avuto fiducia che a Palermo ci fosse un giudice. La lettura del dispositivo che esclude la mia responsabilità nel processo sulla cosiddetta trattativa ne è una solenne conferma. Sono stato vittima di un teorema che doveva mortificare lo Stato e un suo ‘uomo’, che tale è stato ed è tuttora“.
Non è stato condannato, ma per via dell’avvenuta prescrizione del reato, il pentito Giovanni Brusca.
All’esito della lettura del dispositivo, il pm Nino Di Matteo, il vero motore del processo sulla Trattativa Stato-Mafia ha commentato il risultato raggiunto. “Questa sentenza, dopo cinque anni, riconosce che parte dello Stato negli anni delle stragi trattava con la Mafia e portava alle istituzioni le richieste di Cosa Nostra – ha detto Di Matteo -. Per la prima volta vengono consacrati i rapporti esterni della Mafia con le istituzioni negli anni delle stragi ed è significativo che questa sentenza abbia riguardato un periodo in cui erano in carica tre governi diversi: quello Andreotti, quello Ciampi e quello Berlusconi. Non contano gli attacchi che abbiamo subito negli anni non tutti si sono dimostrati rispettosi di un lavoro che c’é costato lacrime e sangue“.
I risultati raggiunti, quindi le condanne relative alla Trattativa Stato-Mafia, sono stati dedicati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi per la loro battaglia contro la mafia, dal pm Vittorio Teresi.
Oltre ai condannati, alcuni dei quali hanno già annunciato la volontà di impugnare la sentenza, i cui particolari potranno essere conosciuti solo dopo la pubblicazione delle motivazioni, non è stato pienamente d’accordo con l’esito del processo l’esperto giurista Giovanni Fiandaca, grande studioso di diritto penale nonché dei fenomeni mafiosi e “maestro” di molti dei giudici che hanno portato alla sentenza.
“Mi aspettavo un esito assolutorio per la difficoltà tecnica di configurare il reato di ‘minaccia a corpo politico dello Stato’, il reato previsto dall’articolo 338 del codice penale – ha commentato Fiandaca, facendo riferimento ai condannati per questo tipo di reato -. La sua applicazione agli occhi di un giurista di professione -e non sono soltanto io a pensarlo- è sbagliata sotto il profilo di una interpretazione sistematica…La questione è abbastanza tecnica e probabilmente una corte di assise in cui sono presenti i giudici popolari, di solito non molto esperti di diritto, non è la sede più adatta per approfondire questioni di questo tipo. Ma comprendo che il problema era la rilevanza penale della trattativa. E la linea della procura ha vinto, pur persistendo le mie riserve di giurista, convinto che la materia offrirà spunti di riflessione in appello e in Cassazione“.
Su quanto di drammatico e buio è successo durante la storia della Seconda Repubblica, la sentenza della Corte di Assise di Palermo ha finalmente fatto chiarezza, se chiarezza c’era da fare. La responsabilità di chi, in quegli anni, ha tentato di intimidire lo Stato, è stata accertata, ma alcuni dei veri responsabili, ormai, non potranno più risponderne.
Di Lorenzo Maria Lucarelli