Mamma trentenne, indipendente, femminista e realizzata cercasi! Oggi sembra sempre più difficile trovare mamme giovani che riescano a far convivere le lancette del famoso orologio biologico con il desiderio di indipendenza e di realizzazione professionale. Questo perché essere mamma diventa sempre più una scelta sul piano di un aut-aut: o questo, o il resto. E perché sembra che la maternità invece di sostenerla, vogliano cancellarla.
A trentuno anni, se vivi da sola, sgomiti per la tua indipendenza ed affermazione professionale e provi pure a portare avanti una visione femminista della vita, le domande che ti sentirai fare più spesso sono: “ma un compagno non ce l’hai? ma non pensi al matrimonio? ma quando pensi di avere un figlio? guarda che poi è tardi”.
Tutte le risposte che io posso formulare a mia giustificazione – così come molte delle mie coetanee nella mia condizione – ruotano intorno la mutata concezione del concetto di ‘tardi’.
Mamma? Troppo tardi
Se vent’anni fa l’idea di fare un figlio dopo i 35 anni rappresentava pura follia, oggi diviene la normalità, laddove ce ne sia la condizione. Si perchè spesso questo famoso orologio biologico, il senso materno, il tic-tac nella tua testa che dovrebbe spingerti a desiderare un figlio sopra ogni altra cosa, tardano tutti a fare capolino oppure vengono forzosamente sopiti.
Il motivo è lo stesso: questo non è un Paese per mamme. Sia che tu abbia anteposto il tuo desiderio di realizzazione professionale a tutto il resto, o che il tuo sogno sia dare la vita ad una squadra di calcetto, viviamo quotidianamente in un contesto sociale, economico e politico fuori da ogni logica mum-friendly. Almeno sul piano dell’effettività.
In realtà negli ultimi anni, ed ancora di più a seguito della pandemia, si reitera sempre di più una narrazione che vede protagoniste politiche dedicate al sostegno delle mamme e della maternità. Pensiamo soltanto alla tanto discussa riapertura delle scuole: gli istituti scolastici dovevano riaprire assolutamente – in particolare nidi e scuole dell’infanzia – altrimenti le mamme non avrebbero saputo dove lasciare le proprie figlie ed i propri figli. Osservazione quasi giusta, ma narrazione sbagliatissima. Quello scolastico è un diritto assoluto di bambine e bambini, non un parcheggio. Ma questo è un altro discorso.
Maternità: sostegno non sufficiente
Con la decretazione d’urgenza, sono state inserite misure a sostegno del congedo parentale, o il c.d. bonus babysitter, in modo da sostenere l’occupazione femminile nella fase di ripresa. Un bisogno, questo, evidenziato ormai da tempo, anche prima della pandemia. A dicembre 2019 il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco evidenziava che la ridotta partecipazione delle donne al mercato del lavoro impatta negativamente sulla crescita del nostro Paese e che le donne continuano a guadagnare significativamente meno degli uomini, avendo sempre più difficoltà a raggiungere posizioni apicali sia nel mondo del lavoro privato che nel pubblico.
Dunque piena consapevolezza del ruolo fondamentale di tutta la controparte femminile del Paese. Ma come si sposa con una cultura che ci vuole necessariamente madri, con gli allarmi demografici dell’Istat – che ci dice che in relazione all’anno 2019, la media di figli per donna è di 1,29 – con uno scollamento completo tra le politiche e le previsioni future e quella che è la sostanza della realtà?
Il grosso problema è che la generazione di trentenni che dovrebbe approcciarsi all’idea di una famiglia vive oggi in una condizione di precarietà: spesso ci diciamo che a stento siamo in grado di sostenere noi stesse, come potremmo mai pensare ad avere un figlio?
Scelta o sacrificio? Un insostenibile aut-aut
Ci saranno sicuramente obiettori su questa affermazione, per cui poter pensare di avere un figlio è invece un sacrificio più che fattibile. Il problema sta proprio nel fatto che questo debba essere un ‘sacrificio’. In tutta onestà: a meno di non essere nate in un contesto abbiente, senza grossi problemi economici, e magari senza neppure tanta ambizione, fare un figlio non impone delle scelte, delle privazioni, nell’uno o nell’altro senso.
Il quadro in cui molte di noi si rispecchieranno è il seguente: c’è chi comincia a capire quale sia la propria priorità, accantonando magari la vita professionale; chi ci prova lo stesso, giocando però a tetris con il proprio tempo; chi rinuncia invece all’idea di un bambino, perché l’ambizione ha il sopravvento.
Chi è che fa bene in questo caso? Nessuna delle tre. Si perchè, tutte tre le situazioni dovrebbero essere considerate giuste ed accettabili, ma incastonate in un contesto in cui ognuna di esse è sostenuta da politiche di supporto, a favore della famiglia, della professionalizzazione, del desiderio di essere mamma e manager o qualsiasi cosa si voglia contemporaneamente o in momenti separati della propria esistenza.
E allora ciò che ci serve è una cornice di misure e strumenti politici che vadano ad incentivare la scelta (perché rimane tale, non diventa mai un obbligo, fosse anche solo culturale) di diventare mamma, pensando a come eliminare tutte quelle condizioni che impongono delle decisioni ‘in perdita’, siano esse professionali o legate alla vita privata.
In ogni caso…be Brave!