Troppi femminicidi in Italia, in cinque mesi uccise 47 donne, quasi 2 a settimana

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Di Alessia Spensierato

Il brutale omicidio di Giulia Tramontano a Milano da parte del compagno e l’assassinio di una agente di polizia da parte di un collega alla periferia di Roma fanno salire a 47 il numero delle donne uccise dall’inizio dell’anno: di queste, 39 sono vittime di femminicidi in Italia, quasi otto al mese.

Gli ultimi dati ufficiali a disposizione sono quelli aggiornati al 28 maggio dal Dipartimento di pubblica sicurezza nel report settimanale pubblicato sul sito del Viminale.

Un rapporto che, dunque, non tiene conto degli ultimi due omicidi avvenuti a Senago (Milano) e Roma. Dal 1 gennaio al 28 maggio del 2023, dice il report, in Italia sono stati registrati complessivamente 129 omicidi. Le vittime donne sono 45, di cui 37 sono state uccise in ambito familiare o affettivo. Quelle ammazzate per mano del partner o dell’ex partner sono invece 22

Analizzando omicidi del periodo in questione rispetto a quello analogo dell’anno scorso, il report evidenzia un aumento del numero degli omicidi che da 123 passano a 129 (+5%), mentre il numero dei femminicidi in Italia mostra un decremento del 10% degli episodi, che da 50 passano a 45.

Per quanto riguarda i delitti commessi in ambito familiare/affettivo, si registra un decremento sia nell’andamento generale degli eventi, che passano da 59 a 58 (-2%), sia nel numero delle vittime donne, che da 44 diventano 37 (-16%).

In lieve calo, rispetto allo stesso periodo del 2022, anche gli omicidi commessi dal partner o ex partner, che da 25 scendono a 24 (-4%) e le vittime donne, che da 25 passano a 22 (-12%). Nel periodo 22-28 maggio 2023 risultano essere stati commessi 4 omicidi, con una vittima di genere femminile. 

Troppi femminicidi in Italia, cosa sbagliamo?

Donne che hanno pagato con la loro vita e la vita dei loro figli, uccisi o rimasti orfani, il desiderio di avere una vita libera dalla violenza, nel tentativo di sottrarsi al controllo di un partner o un ex che non ha lasciato loro via di scampo, e che pur di ripristinare il loro potere decisionale hanno deciso di uccidere. Donne il cui assassinio viene ancora banalmente descritto come causato dalla gelosia, da un gesto sconsiderato, da un raptus frutto di un momento, e agito da parte di uomini in buona fede, spaventati, delusi, afflitti. Morti violentissime sezionate di volta in volta sui media e dipinte come fossero puntate di una lunga e interminabile fiction fino a quando tutti noi non ci saremo assuefatti e rassegnati.

Sono oltre tremila le donne uccise dal 2000 a oggi: questo in un generale calo, secondo il Viminale, per cui qui le uniche vittime di omicidio volontario in aumento sarebbero le donne, uccisioni che all’81% avvengono nell’ambito familiare. Un aumento dovuto non solo all’inefficienza della protezione da parte delle istituzioni ma anche all’impunità e alla libertà d’azione di cui gli offender continuano a godere nella massiccia sottovalutazione della violenza domestica che viene ancora e sempre scambiata come una semplice conflittualità tra coniugi che litigano, come è normale che sia, per gelosia, per disaccordi, per scaramucce, per i figli.

Come spiega DiRe (Donne in rete contro la violenza) “il 70% delle donne vittime di femminicidio aveva già denunciato il proprio aggressore, ma questo non è bastato a salvarla: perché la sua parola era stata valutata in modo isolato, decontestualizzato, parcellizzato”. E perché allora la parola di una donna che chiede aiuto, che denuncia una violenza, che cerca di separarsi dal proprio aguzzino e fa di tutto per proteggere i propri figli, non viene ascoltata e protetta in maniera adeguata?