«Gesù ci ha insegnato che all’insensatezza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio, con la preghiera e il digiuno. La regina della pace preservi il mondo dalla follia della guerra». Le parole di Papa Francesco riecheggiano nell’aula Paolo VI alla fine dell’udienza generale del 23 febbraio, il giorno prima che Putin dia l’ordine all’esercito russo di entrare in Ucraina.
«Ho un grande dolore nel cuore per il peggioramento della situazione nell’Ucraina. Nonostante gli sforzi diplomatici delle ultime settimane si stanno aprendo scenari sempre più allarmanti. Come me tanta gente, in tutto il mondo, sta provando angoscia e preoccupazione. Ancora una volta la pace di tutti è minacciata da interessi di parte. Vorrei appellarmi a quanti hanno responsabilità politiche, perché facciano un serio esame di coscienza davanti a Dio, che è Dio della pace e non della guerra; che è Padre di tutti, non solo di qualcuno, che ci vuole fratelli e non nemici. Prego tutte le parti coinvolte perché si astengano da ogni azione che provochi ancora più sofferenza alle popolazioni, destabilizzando la convivenza tra le nazioni e screditando il diritto internazionale» aggiunge il papa, richiamando alla memoria un altro papa e un’altra guerra.
«Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri negoziati non è mai precluso un onorevole successo». Questo è una parte del drammatico messaggio radiofonico lanciato da Pio XII il 24 agosto 1939, appena una settimana prima dell’invasione nazista della Polonia, la cui escalation nel ricorso all’intervento armato ricorda drammaticamente l’attuale attacco russo all’Ucraina.
Ma, ove il Papa e il Vaticano hanno fatto sentire fin da subito la propria voce, ad assordare è stato il silenzio della Chiesa ortodossa Russa e del suo Patriarca Kirill (Cirillo), il quale, pur condannando la guerra, lo ha fatto lanciando un messaggio ambiguo che in parte sostiene la visione dell’Ucraina data da Putin nel discorso di riconoscimento delle repubbliche separatiste del Donbass.
«Possa il Signore proteggere la terra russa! Quando dico “russo”, uso un’antica espressione del Racconto degli anni passati – “da dove viene la terra russa” -, che include Russia, Ucraina e Bielorussia e altre tribù e popoli». Questo è un passaggio del sermone pronunciato domenica 27 dal Patriarca Kirill, e non sfuggono le somiglianze con il discorso colmo di forzature ed errori storici sciorinato da Putin per giustificare l’aggressione della Russia all’Ucraina. Ma come fanno a conciliarsi le ragioni propagandistiche di una guerra con il cristianesimo ed il suo messaggio evangelico di pace e amore fraterno tra i popoli?
Per quanto possa sembrare paradossale, la Chiesa ortodossa Russa è in lotta da anni con quella ucraina. Nel corso dei secoli, le varie chiese ortodosse si sono sviluppate in maniera autonoma, sia pur riconoscendo tutte l’autorità del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, il quale agisce come guida e primus inter pares rispetto ai patriarchi delle singole chiese nazionali. La chiesa ortodossa ucraina dipende dalla chiesa ortodossa russa fin dal 1686. In quell’anno, con la crescita di potere della chiesa russa e l’indebolimento di quella di Costantinopoli, il patriarca di quest’ultima conferì alla chiesa di Mosca ed al suo Patriarca il potere di nominare il Metropolita di Kiev. Il conferimento, nelle intenzioni del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, sarebbe stato temporaneo, mentre per la Chiesa Russa esso si intendeva acquisito in maniera definitiva.
Nel corso dei secoli, la Chiesa ortodossa Ucraina ha finito per dividersi in tre tronconi distinti: la Chiesa ortodossa legata a Mosca, il Patriarcato di Kiev – nata in contemporanea allo stato nazionale – e la chiesa autocefala ucraina, originatasi nel 1920. Nella lotta della chiesa ortodossa ucraina per staccarsi da quella russa si è inserita anche la politica. Nel dicembre del 2018 un entusiasta presidente Poroshenko – predecessore dell’attuale capo dello stato Vladimir Zelinskyy – annunciava che il 15 dello stesso mese si sarebbe tenuto il primo sinodo unitario delle chiese ortodosse ucraine indipendenti dal Patriarcato di Mosca. Poroshenko aveva inoltre dichiarato che l’indipendenza della Chiesa Ucraina faceva parte della sua politica pro – europea e pro – ucraina. In occasione del sinodo, venne approvato lo statuto unitario della neonata chiesa ucraina ed eletto il suo Patriarca, il quale andò poi a ricevere la propria investitura formale dal Patriarca di Costantinopoli.
L’annuncio di Poroshenko seguiva la dichiarazione di indipendenza della chiesa ortodossa ucraina da parte del Patriarca di Costantinopoli, formalizzata ufficialmente nel sinodo ecumenico del novembre 2018, ma sostenuta dallo stesso Patriarca già da tempo. La reazione della chiesa russa alla notizia dell’indipendenza non si è fatta attendere: il Patriarca russo Kirill ha rotto la comunione eucaristica con il Patriarcato di Costantinopoli, vietando ai sacerdoti da lui dipendenti di concelebrare i sacramenti con gli altri prelati. Sono poi seguite accuse contro il Patriarcato di Costantinopoli, reo di aver gettato le fondamenta per uno scisma all’interno della chiesa ortodossa e di averne minato le basi.
Ma la vera ragione che ha fatto perdere il sonno al Patriarca di Mosca è l’indebolimento della propria posizione in Ucraina, dove si è avuta una emorragia di fedeli e sacerdoti, per non parlare delle numerose proprietà che verrebbero incamerate dalla nuova chiesa nazionale. Non a caso, nel suo discorso di annuncio dell’invasione, Putin ha citato tra i motivi a supporto che l’Ucraina aveva in programma di distruggere la Chiesa ortodossa dipendente dal Patriarcato di Mosca, senza portare nessuna prova a sostegno di questa ulteriore accusa, ma tenendo ben a mente la situazione della chiesa ortodossa dopo il riconoscimento dell’indipendenza di quella ucraina.
Una narrazione utile a sostenere in patria la propria posizione, supportata dal Patriarcato di Mosca (tradizionalmente legato al Cremlino), supporto fornito sia pur in maniera non troppo evidente e intervallato dalle richieste di evitare vittime tra i civili. Supporto che – paradossalmente – viene ulteriormente confermato da una lettera firmata da 233 sacerdoti e diaconi della Chiesa ortodossa Russa, i quali lanciano un appello perché si fermi immediatamente la guerra fratricida. Tra le firme, chissà perché, non se ne trova nessuna riferibile ai membri della gerarchia ecclesiastica, a certificare il definitivo scollamento tra la base della Chiesa e il Patriarcato di Mosca.