La parità di genere non è solamente uno degli obiettivi individuati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, ma anche settore di studio e ricerca di un’istituzione europea creata appositamente per intervenire in materia: l’European Institute for Gender Equality, noto in breve come EIGE e sito a Vilnius, Lituania. Una recente ricerca di quest’agenzia UE, rilasciata in data 23 giugno, ha avuto come scopo quello di evidenziare le diverse modalità della raccolta dei dati in materia da parte degli Stati membri, sebbene già in passato l’EIGE stesso avesse individuato gli indicatori in presenza dei quali si può parlare di violenza nelle relazioni intime.
La ricerca EIGE
Innanzitutto, si è provveduto a fornire una definizione del fenomeno, identificato come “la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che intercorre fra coniugi o partner, ex o attuali, a prescindere dal fatto che il perpetratore condivida o abbia condiviso la residenza con la vittima“. Inoltre, già nel 2018, l’EIGE aveva stilato una lista di 13 indicatori in presenza dei quali si può parlare di violenza nelle relazioni intime, elenco assai variegato e comprendente una pluralità di elementi, dal numero di casi di stupro fino a quello di ordinanze restrittive adottate.
Pertanto, posto che tale forma di violenza può avere molteplici sfaccettature, a che punto sono gli Stati europei nel raccogliere i dati sulla predetta problematica?
La risposta, purtroppo, non è univoca, in quanto i risultati differiscono a seconda dell’indicatore concretamente analizzato. Infatti, mentre ad esempio i dati sul numero di donne vittime di femminicidio per mano del partner, ex o attuale, sono disponibili per la maggior parte degli Stati membri e comparabili per 14 di essi, i dati per le donne vittime di violenza economica nelle relazioni intime non sono disponibili in larga parte degli Stati membri: solamente uno, la Lettonia, è stato pienamente in grado di fornire dati per tale indicatore.
Ciò ha consentito di poter analizzare più a fondo il fenomeno del femminicidio, individuandone l’incidenza in rapporto al numero di popolazione di sesso femminile all’interno di un dato Stato membro. Così facendo, si è potuto evidenziare come, ad esempio, sebbene Malta abbia riportato solo due casi di femminicidio nel 2018, lì il problema abbia proporzioni maggiori rispetto alla Finlandia, che di casi ne ha riportati 18. A fare la differenza la diversa densità di popolazione dei due Paesi.
Così, a Malta si finisce per avere 1 vittima di femminicidio ogni 100’000 donne, in Finlandia 0.8 vittime ogni 100’000.
I motivi delle discrepanze nella raccolta dati
Ma dove risiedono le ragioni di una tale discrepanza nella raccolta dati dei vari indicatori? I ricercatori EIGE ipotizzano quanto segue: innanzitutto, è più facile reperire prove di femminicidio piuttosto che prove di violenza economica; in secondo luogo, la maggioranza degli Stati membri prevede sanzioni, anche penali, per la violenza fisica, sessuale o psicologica, laddove invece esse sono prevalentemente assenti nei casi di violenza economica; infine, manca nella cittadinanza la consapevolezza della violenza economica come forma di violenza o come crimine a sé stante. Ancora una volta, quindi, il fattore culturale gioca un ruolo fondamentale.
La ricerca ha anche distinto i dati a seconda della fonte, distinguendo fra dati giudiziali e dati reperiti in ambito investigativo/poliziesco. Essa mostra un divario anche in quest’ambito. Infatti, i primi sono numericamente assai inferiori rispetto ai secondi, probabilmente perché il sistema giudiziale tende ad essere maggiormente incentrato sui perpetratori delle offese piuttosto che sulle vittime.
Ne consegue che, spesso, manchino proprio informazioni rilevanti su queste ultime o comunque fondamentali per un corretto inquadramento del caso, ad esempio la relazione fra vittima ed offensore.
I passi avanti fatti dal 2014
Tuttavia, i ricercatori EIGE sottolineano anche un aspetto positivo: sebbene la situazione attuale non sia ancora ottimale, rispetto al 2014 sono stati compiuti passi avanti significativi sia sul fronte della disponibilità dei dati sia su quello della loro comparabilità fra Stati. Nello specifico, Repubblica Ceca, Germania e Slovenia hanno notevolmente migliorato il loro approccio alla materia.
Pertanto, sebbene la strada da fare per sviluppare una metodologia univoca, elemento prodromico all’elaborazione di una strategia unitaria per fronteggiare un fenomeno ormai dilagante, si inizia ad intravedere qualche spiraglio di luce.