Non è stato un anno facile per i Jazz. La stagione non è proprio iniziata nel migliore dei modi, con un attacco macchinoso e una difesa retta esclusivamente da Rudy Gobert. La squadra di Salt Lake City infatti è rimasta in balia delle sue stelle. Vale a dire che Donovan Mitchell e appunto Gobert dovevano reggere sulle loro spalle il peso dell’intero team, ma vediamo le cose da più vicino.
Il roster
Il roster dei Jazz sulla carta doveva essere uno dei migliori della Western Conference, con gli ingressi di Bogdanovic e Mike Conley la franchigia sarebbe dovuta arrivare a competere per inserirsi prepotentemente tra le squadre più pericolose del selvaggio west. Oggi invece vediamo che i suoi top player mancano di una continuità richiesta per essere competitivi in una lega come la NBA ed in una conference come quella occidentale in cui il livello è molto alto. Nota positiva sono i comprimari, uno su tutti Joe Ingles: giocatore esteticamente non bellissimo, nemmeno agile e particolarmente atletico, ma con un agonismo ed una cattiveria sportiva degna dei grandi campioni di questa lega. Sempre riguardo ai comprimari da segnalare l’ottimo inserimento dell’ex Cavaliers Jordan Clarkson che con la sua vena realizzativa e le sue capacità offensive può essere un ottimo ricambio per Mitchell.
Aspettative
Le aspettative per Utah sono sicuramente meno entusiasmanti che per il resto delle partecipanti ai playoff. Tra chi ha un gruppo giovane da far crescere e chi deve obbligatoriamente dimostrare di saper vincere i Jazz si trovano nel mezzo, nel limbo di chi non sa bene che ruolo ha. Certamente l’età delle sue stelle gioca a favore ma senza ombra di dubbio la franchigia ha bisogno di una scossa, che sia per un progetto di rifondazione o che sia per arrivare ad essere una contender raggiungendo delle Finals che mancano dai tempi di Stockton to Malone. Dunque siamo pronti a goderci quella che può essere la mina vagante della bolla di Orlando. Troppo forte per le ultime o troppo scarsa per le prime
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