Se ancora oggi il canone classico viene considerata l’apogeo della bellezza umana ciò è anche da ascrivere allo studio scientifico, ma per questo non privo di passione, che ne fece Johann Joachim Winckelmann (1917–1768), storico dell’arte e archeologo tedesco. Egli, nel clima del Neoclassicismo, avviò una serie di studi sistematici sull’antichità che possono essere a buon ragione considerati, pur con i necessari limiti storici, le fondamenta della moderna archeologia.
La Venere di Milo: una scoperta fortuita
Nel clima fervido del Neoclassicismo europeo non mancavano comunque le attività belliche tra i vari stati. Nell’Aprile 1820 l’ufficiale francese Olivier Voutier attaccò l’isola greca di Milo dove si stavano svolgendo campagne di scavo archeologiche. Arrivato sull’isola incuriosito dagli scavi inizio egli stesso a condurne per proprio conto e in un campo con l’aiuto di un contadino, Yorgos Kentrotas, trovò finalmente qualcosa di interessantissimo: il busto di una statua senza braccia, nuda nella parte superiore con un morbido drappo cadente all’altezza delle anche.
Dopo lunghissime trattative diplomatiche la statua lasciò prima l’isola poi raggiunse Costantinopoli e infine Tolone e poi Parigi nel Febbraio del 1821. Appena giunta in terra di Francia il re ne fece dono al Louvre.
La Venere di Milo: una bellezza senza tempo
“La generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che nell’espressione. Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata” (Johann Joachim Winckelmann)
Nobile semplicità e quita grandezza. Queste sono le caratteristiche che individua Winckelmann nelle opere “classiche”. Una necessaria precisazione: per l’archeologo tedesco le opere “classiche” sono quelle riferite al periodo Aureo della civiltà greca (450-400 a.C.). Mentre la Venere di Milo, che pure presenta tratti classicheggianti, è datata all’età Ellenistica (150-100 a.C.) periodo già considerato dall’archeologo tedesco come ormai di progressivo allontanamento dai canoni aurei del V secolo a.C.
Tuttavia già 200 anni fa, circa cinquant’anni dopo la morte di Winckelmann il giudizio sull’arte ellenistica aveva assunto un carattere meno drastico e la stessa arte ellenistica si connotava con caratteristiche storiche e artistiche proprie.
L’Afrodite di Milo è un’opera di età Ellenistica in marmo pario, datata tra il 150 e il 100 a.C. di ispirazione classica. Le sue dimensioni sono superiori al vero, essa è alta 2.04 mt. È eretta con gamba sinistra avanti, piegata al ginocchio e leggermente girata verso l’interno. Il corpo è modellato seducentemente a S e il drappeggio cade in maniera suggestiva appena sotto il bacino. La pettinatura è tipicamente classica con riccioli pettinati con discriminatura centrale, la bocca è languidamente socchiusa.
“Povera gente! L’Arte non è sbriciolare la propria anima; è di marmo o no la Venere di Milo?” (Paul Verlaine)
L’attualità della bellezza classica
“I classici sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quando s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale” (Italo Calvino. Perché leggere i classici)
Partendo da questa frase di Calvino è interessante argomentare su come alcuni schemi culturali si siano sedimentati nella nostra coscienza culturale in maniera così persistente da costituire un modello di riferimento per tutte le altre forme culturali che in qualche modo con essa si vogliano (o non si vogliano) confrontare.
Sia chiaro, come Omero non ha inventato la poesia epica, i Greci non hanno inventato la Bellezza. Eppure entrambi hanno imposto degli standard, diversi nei loro generi, con i quali tutti hanno dovuto necessariamente confrontarsi, o per senso di emulazione, o per decostruirne gli schemi narrativi e semantici. In ogni caso la portata dell’arte greca è stata nel mondo Occidentale e Orientale fondativa della nostra identità e opere come la Venere di Milo hanno contribuito a formare un immaginario comune di una bellezza senza tempo, senza social, senza mass media. Una bellezza che dopo duecento anni continua a nutrirsi dello sguardo ammirato di turisti, curiosi e studiosi che attendono ancora il momento in cui il drappo poggiato sulle anche, appena in procinto di cadere, possa svelare la piena bellezza della dea.